Con un finale, al solito, pirotecnico, Il Barbiere di Siviglia ha chiuso il 30 agosto la sua serie di applauditissime recite. Con Turandot quella dell’opera rossiniana è forse la produzione che ha destato il più vivo interesse ed entusiasmo del pubblico, grazie sicuramente alla coloratissima produzione di Hugo de Ana. Un allestimento che non invecchia mai, con una vivacità interiore inesauribile, spettacolarità raffinatissima, così come raffinati sono gli stipendi costumi disegnati dallo stesso De Ana. Il bello di questo spettacolo sta anche nella sua funzionalità ad adattarsi alle diverse interpretazioni, e quindi anche alle trovate dei diversi protagonisti.

Rispetto alla serata della prima trovavamo un cast quasi totalmente variato.
Andrea Battistoni dirigeva con eleganza, appropriato senso dello stile e diligente nell’accompagnamento.
Gocha Abuladze e Niccolò Ceriani ben interpretavano i ruoli dell’Uffiziale e Fiorello/Ambrogio.
Manuela Custer è una grande artista e la sua Berta ci ha conquistato ogni sera di più, per il suo senso del teatro irresistibile e la sua musicalità adamantina. L’aria con le variazioni a fior di labbro diventa un vero capolavoro di stile rossiniano.

Il giovanissimo Romano Dal Zovo è stato il vero factotum del Festival, con le sue partecipazioni a tutte le recite di “Aida”, oltre che Nabucco e per finire con questo suo felice debutto nel ruolo di Don Basilio. Abbiamo trovato il cantante che ormai da alcuni anni apprezziamo e il cui percorso continua a riservare grandi sorprese, grazie ad un grande lavoro di costante miglioramento. Il suo personaggio è divertente, stralunato e con una vocalità importantissima e tecnicamente gestita con grande maestria.

Nicola Alaimo al suo debutto areniano convince per l’uso della vocalità a favore di un ritratto teatrale esilarante. Senza mai rinunciare all’eleganza e all’accuratezza stilistica, Alaimo disegna un personaggio capace di catalizzare l’attenzione. Irresistibile è il momento quando durante il sillabato della sua aria suona le nacchere a tempo. Un vero animale da palcoscenico.

Dmitry Korchak, già protagonista alla prima, regna per eleganza e sensibilità nei panni del Conte Almaviva. La capacità di smorzare a tutte le altezze, le agilità fluide e carezzevoli, la vocalità sempre virile, pur con suoni soavi e dolcissimi. A questo si aggiunge la presenza scenica principesca che completa la sua ammirevole interpretazione.

Ruth Iniesta è una Rosina pirotecnica, che sfrutta tutte le sue risorse di coloratura, per disegnare una fanciulla scatenata, irriverente, dall’energia inesauribile. Ci ha permesso, dopo i suoi preziosi ritratti di Liù e Micaela, di scoprire un nuovo lato della sua personalità, quello più squisitamente virtuosistico, sfoggiando un brillantissimo e volumetricamente grandissimo Fa sovracuto in chiusura della cavatina “Una voce poco fa”, oltre che altre puntature come quella nel finalino II (“Di sì felice innesto”). Simpaticissima anche la presenza scenica, come il gioco con il ventaglio durante l’aria.

Mario Cassi ritorna, come nel 2015, a Figaro, suo cavallo di battaglia. Supera bene il confronto con il grande Leo Nucci che lo precedeva, creando un personaggio assolutamente diverso: energico, dinamico e vivacissimo. Vocalmente il personaggio è talmente dominato alla perfezione che ogni cosa risulta facile e scorrevole, così come sono scorrevoli tutti i passaggi di agilità.
Alla fine un grandissimo successo.
Francesco Lodola
Verona, 30 agosto 2018
Foto Ennevi per Gentile concessione di Fondazione Arena di Verona