L’opera barocca è oggi all’apice della sua popolarità, non tanto in Italia, dove le rivoluzioni arrivano sempre dopo, quanto all’estero, dove invece non è considerata un genere minore, ma è equiparata all’opera contemporanea. Moderna e attuale lo è, essendo questi titoli quasi sempre nuovi per il pubblico odierno e parlando un linguaggio che è sicuramente diverso, ma forse più “puro”. Ad aiutare la diffusione di questo repertorio da una parte ci sono i registi che fanno dell’opera barocca il loro territorio per l’innovazione da “regietheater”; dall’altra parte ci sono i cantanti e i musicisti che si specializzano in questo repertorio e ne fanno un biglietto da visita. Non c’è da stupirsi che oggi le orchestre barocche, con strumenti d’epoca e rispettose della prassi, nascano “come funghi”. Il nome che ci viene in mente sopra tutti è Cecilia Bartoli, che ha fatto di questa musica un vero business, vendendo migliaia di copie dei suoi album, frutto di una ricerca musicale raffinatissima.
Una ricerca che è molto simile a quella fatta da Elena De Simone, giovane mezzosoprano dalla carriera già brillantemente avviata. La cantante ha voluto dedicare il suo ultimo progetto discografico a Johann Adolf Hasse. Il compositore, nativo di Bergedorf (1699) e morto a Venezia nel 1983, si inserisce esattamente alla fine del Barocco e all’inizio del Classicismo. Si sentono infatti nelle sue linee musicali, la “teoria degli affetti”, concetto filosofico e musicale di origine tedesca, che attraversò tutta la musica occidentale fin dal ‘400 e che fu in qualche modo alla base della nascita dell’opera lirica nella Camerata dei Bardi a Firenze, ma anche la plasticità del classicismo.
L’album targato Tactus inciso da Elena De Simone, accompagnata dall’Ensemble “Il Mosaico” contiene dieci arie operistiche del compositore e si orienta in particolare a mettere in evidenza l’italianità di Hasse come compositore. Italianità che va intesa come stile di scrittura. Hasse pur essendo tedesco ebbe la sua principale formazione italiana e va considerato quindi giustamente un autore assolutamente legato alla Scuola Napoletana e alla Scuola Veneziana, dove incontrò tra l’altro la sua compagna di vita, la leggendaria Faustina Bordoni, per la quale alcune di queste arie sono state espressamente scritte (“Eccomi non ferir” dall’opera “Issipile” e “Uomini” dall’opera “Asteria”).
La vocalità della De Simone è davvero preziosa nel saper dare a ciascun brano la propria identità. Un bel timbro scuro, ma non gutturale, si muove con eleganza e cura attraverso le pieghe di queste melodie, donando la giusta voluttà malinconica alle pagine più patetiche e imprimendo un temperamento giustamente focoso agli “affetti” più tempestosi di questi personaggi. Il bello è vedere una voce sanissima che non si fa prendere dalla moda di eseguire questo repertorio in un certo modo, ma cerca un modo personale senza mai perdere le esigenze dello stile. In particolar modo riuscite ci paiono “Parto, ma tu ben mio” dal “Tito Vespasiano”, raccontata con bel suono raccolto e nobiltà d’accenti e “Uomini” da “Asteria”, in cui emerge tutta la forza del messaggio della protagonista, e la sua straordinaria modernità, con quel primo verso che sembra quasi un grido femminista ante-litteram: “Uomini io gli vorrei tutti conversi in cenere”. Ottimo il contributo dell’Ensemble “Il Mosaico” formato da Gian Andrea Guerra e Pietro Battistoni al violino, Luca Cacciatori alla viola, Nicola Brovelli al violoncello, Matteo Zabadneh al violone e Enrico Bissolo al clavicembalo.
Si aggiunga inoltre che il grande lavoro di Elena De Simone ha anche il pregio di avere anche un riscontro editoriale, con la pubblicazione della partitura per Edizione Armellin (Padova) delle dieci arie eseguite nell’album, che la cantante con grande perizia musicologica ha trascritto, riportando alla luce un vero tesoro musicale. Un’operazione lodevole e degna di plauso.
Francesco Lodola