L’Accademia della Scala ha scelto per il consueto spettacolo che ogni anno viene inserito nel cartellone Alì Babà di Cherubini, titolo piuttosto raro se si tiene conto che la prima rappresentazione in lingua italiana, nel 1963, è stata anche l’unica comparsa che l’opera ha fatto nel teatro meneghino. Gli allievi dell’Accademia, preparati dai maestri fra i quali, per i cantanti, Luciana d’Intino, hanno saputo dare una vitalità sorprendente a un’opera che, si può dire onestamente, risulta per molti versi sorpassata.

©️Brescia/Amisano Teatro alla Scala

Il ruolo titolare era detenuto l’altra sera da Paolo Ingrasciotta, basso dalle sonorità profonde e abbastanza piene. Ha una buona capacità di fraseggio, e la voce si percepisce bene in tutta la sala. Bisogna anche ricordare la sua coinvolgente capacità di attore, che ha reso il mercante un po’ briccone in modo simpatico e moderno, vicino ai nostri canoni di recitazione e senza stucchevoli maniere.

Delia, delicato personaggio al quale sono dedicate forse le pagine più meritevoli dell’intera partitura, era interpretata da Enkeleda Kamani. Voce luminosa, lieve ma non priva di sostegno e dal timbro argenteo, adguata per gli squarci cantabili della parte.

©️Brescia/Amisano Teatro alla Scala

Il ruolo di Nadir era invece assegnato al tenore Hum Kim. Voce robusta, che nel registro inferiore rivela colori piuttosto scuri e esplode di vivacità nel registro medio-acuto. Ottima proiezione e tenuta del palcoscenico.

Il rivale di Nadir è Aboul-Hassan, “capo della Dogana”. Maharram Huseynov gli ha impresso una buona interpretazione, dalle tinte ora fosche e quasi drammatiche, con la sua vocalità ben definita e omogenea su pressoché tutti i registri.

©️Brescia/Amisano Teatro alla Scala

La schiava di Delia, Morgiane, è un ruolo di confidente cui Cherubini assegna un rilievo musicale abbastanza spiccato. Non si limita a partecipare e a commentare come spesso accade per questa tipologia di ruoli, ma resta in scena nei momenti cruciali, con una funzione “narrativa”; racconta ai personaggi e quindi al pubblico ciò che non avviene sulla scena e così contribuisce a tenere unite le fila della trama. Il personaggio era interpretato da Alice Quintavalla, che ha una voce piuttosto morbida, non di enorme potenza ma ben  gestita e l’interpretazione è risultata elegante, anche nei momenti dove le si richiede un po’ di comicità.

Un altro basso è Ours-Kan, il capo dei briganti, ben reso da Rocco Cavalluzzi e basso è pure il suo secondo, Thamar, anche lui interpretato con gusto da Lasha Sesitashvili.

Chuan Wang (Calaf, qui tesoriere dei briganti) e Ramiro Maturana (Phaor) sono stati ottimi comprimari.

©️Brescia/Amisano Teatro alla Scala

Sorprende per bellezza di suono, precisione e ottima gestione del volume l’orchestra dell’Accademia, come pure il coro. Sotto la guida attenta e vitale di Paolo Carignani, i complessi hanno davvero dato una prova soddisfacente, valorizzando la partitura anche nei passi meno “teatrali” e coinvolgenti, e supportando sempre le voci.

L’allestimento, affidato a Liliana Cavani, colpisce per la bellezza visiva del palcoscenico (segno distintivo della regista), che immagina l’opera come sviluppo di una lettura in biblioteca: durante la sinfonia, il sipario si apre su un locale pieno di libri e banchi di studio, dove dei ragazzi si domandano a vicenda cosa stanno leggendo. Uno di loro risponde appunto “Ali Baba” e comincia il viaggio dentro questo libro delle favole, nell’atmosfera lieve e luminosa di un oriente fiabesco, tra cieli dai colori tenui che stagliano i profili arabeggianti degli edifici e gemme che brillano vivaci. Una ambientazione tradizionale, connotata da un esotismo di grande gusto, ma senza dimenticare un ammiccamento (la sinfonia in biblioteca appunto, ma anche alcune gags) che renda più vicina, più moderna e più “giovane” quest’opera.

Il pubblico ha accolto con piacere la produzione, tributandole un buon successo.

Stefano de Ceglia

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