Il quarto concerto della stagione sinfonica triestina si apre con il conferimento della Civica Benemerenza del Comune di Trieste da parte del Sindaco Roberto Dipiazza a Paolo Fazioli, fondatore dell’omonima azienda, in segno di gratitudine per il nuovo pianoforte a coda destinato al Teatro, che campeggia sul palcoscenico, pronto a risuonare sotto le dita di LeraAuerbach, nella doppia veste di solista e direttore d’orchestra. 

Contrariamente a quanto inizialmente previsto dal programma, il primo brano a essere eseguito è l’Ouverture da L’Isola disabitata di Franz Joseph Haydn, correttamente interpretata e quasi unita in un continuum al successivo Concerto n. 20 in re minore K 466 per pianoforte e orchestradi Wolfgang Amadeus Mozart, in cui la Auerbach, in maniera piuttosto singolare, siede al pianoforte, posto all’estrema sinistra del palco, dando le spalle al pubblico, mentre gli orchestrali sono rivolti verso i palchi laterali, offrendo il fianco agli spettatori. Il tutto fa sì che l’esecuzione del concerto, pur ricca della drammaticità e dell’inquietudine che caratterizzano questa pagina mozartiana, risulti piuttosto un’esibizione ad uso e consumo della stessa Auerbach, la quale sembra non voler condividere la propria arte con il pubblico.

Dopo l’intervallo, ripristinata la disposizione canonica dell’orchestra, LeraAuerbach propone una propria composizione, dal titolo Eterniday (Homage to W.A. Mozart), che lei stessa descrive come “la combinazione tra Eternità (Eternity) e Giorno (Day), qualcosa di eterno e fragile, tuttavia mescolati in un unico elemento”. La prima esecuzione ha avuto luogo nel 2010 a Coblenza, città legata al Mozart bambino e l’autrice sostiene che questo legame, unitamente all’aver registrato tutti i pezzi per pianoforte composti dal genio salisburghese in tenera età, l’abbia portata, in questo brano, a percepirne la presenza come una sorta di angelo custode. Il pezzo è costituito da due sezioni che si ripetono con minime variazioni, in cui, sullo sfondo creato dal tamburo e dalla celesta, si inseriscono quasi timidamente gli archi, che, con dissonanze stridenti ricche di drammaticità alternate a momenti più lirici e distesi, crescono di intensità fino a giungere all’esplosivo finale. Un plauso particolare va in questo caso ai solisti dell’orchestra, che hanno saputo sostenere con perizia le parti loro affidate.

Il concerto termina con la Sinfonia n. 49 in fa minore “La Passione” di Franz Joseph Haydn, lavoro in cui si percepisce l’influenza dello Sturm und Drang, sia nelle esplosioni di pathos, che nel mantenimento della tonalità originaria nel corso di tutti e quattro i movimenti, quasi a voler dare continuità all’impeto emotivo che pervade questa sinfonia. LeraAuerbach sembra a proprio agio con questa partitura, così come l’orchestra del Verdi, che nel corso della serata ha sempre risposto in maniera puntuale alle indicazioni impartite.

Gli applausi chiudono una serata in cui, nonostante il buon risultato tecnico, LeraAuerbach, che pare mantenere un costante atteggiamento di distacco, non riesce a rendere il pubblico in sala pienamente partecipe di quanto si svolge sul palcoscenico.

I.B

La recensione si riferisce alla serata del 5 ottobre 2018

 

 

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