Grande successo per il Macbeth verdiano al Festival Verdi 2018, nella prima versione del 1847, valorizzata da un cast di primissimo livello e da una buona regia.
Opera tra le più celebri e amate del repertorio Verdiano, Macbeth viene rappresentata in occasione di questo Festival Verdi 2018 nella sua prima versione, datata 1847, più raramente eseguita rispetto alla successiva “migliorata” del 1865. Le differenze più vistose si hanno nel secondo atto (con la presenza, qui, di una cabaletta per Lady Macbeth), nel celebre coro “Patria Oppressa”, in cui il rifacimento parigino risulta decisamente più efficace e nel finale dell’opera, rimaneggiato non solo musicalmente. Più in generale questa prima versione riflette una fase tipicamente più giovanile del Cigno di Busseto, alle prese per le prime volte con il mondo fantastico e ultra-terreno del capolavoro di Shakespeare.

E quale occasione migliore se non il Festival Verdi per esplorare e riscoprire anche il Verdi cui siamo meno abituati?
L’esito dell’operazione è dei più felici per la qualità indiscussa degli interpreti coinvolti ma non sfigura nemmeno sotto il lato dell’allestimento e della regia.
Lo spettacolo curato da Daniele Abbado valorizza in maniera efficace le componenti della psiche che agiscono sulle azioni e i caratteri dei personaggi e sulla loro stessa identità, su legami ed influenze, in una sorta di doppio registro: da una parte un mondo di immagini generate da buchi neri, nebbia costante, dall’altra un mondo di apparizioni e drammatiche allucinazioni. Contrasti che vedono in scena un denominatore comune: la pioggia, quasi incessante e illuminata di diversi colori, che lava il sangue versato ma non le macchie rimaste sulle mani. I costumi sono di Carla Teti, le luci di Angelo Linzalata e i movimenti coreografici di Simona Bucci.

Più volte si è detto della difficoltà di taluni registi a rendere credibili e coerenti con l’Opera le proprie idee ed interpretazioni. Non è il caso di questo spettacolo in cui pur non avendo di fronte agli occhi costumi e scenografie “vecchio stampo” la drammaturgia, la musica e le peculiarità dell’opera sono state rispettate ed anzi valorizzate, tramite un lavoro accurato ed attento anche sui personaggi. Si dice spesso che le Ferrari sono belle ma hanno bisogno di un grande pilota. La metafora automobilistica si adatta alla perfezione alla voce di Luca Salsi, Macbeth superbo. Il timbro caldo, limpido, robusto ma non pesante è sostenuto da una padronanza di fiato e tecnica che permette di sfoggiare con estrema facilità ogni tinta e gamma di suono, volume e dinamiche. Ma non è questo il solo punto di forza. Salsi dimostra di essere maestro e punto di riferimento nel fraseggio verdiano, nel “recitar cantando” cui Verdi teneva ed è con tutte queste qualità che si mette generosamente al servizio di Verdi e di Piave (anche a costo di rinunciare talvolta ad un’eleganza stereotipata e di forma) nel delineare i tormenti, le allucinazioni, i deliri di Macbeth. Voce, recitazione, linea di canto, atteggiamento, tutto va perfettamente di pari passo con la continua e complessa articolazione ed evoluzione di un personaggio brutale e fragile allo stesso tempo ed il tributo che gli viene riconosciuto al termine è più che mai meritato. Da menzionare la straordinaria varietà di accenti, legati e sfumature che il baritono parmigiano dispiega in “Pietà, rispetto, onore”.

Se il protagonista non sfigura è anche perché al suo fianco si staglia una Lady Macbeth magnifica. Sono ben note le insidie di un ruolo a dir poco massacrante e in cui tenere sotto controllo la voce senza incorrere in cedimenti, urla e “infortuni” vari è impresa non da poco. Ad Anna Pirozzi riesce tutto magistralmente. Il soprano, ormai noto da tempo al pubblico emiliano, ha voce corposa, di volume sfolgorante e grande omogeneità nei diversi registri ma si destreggia con estrema facilità anche tra le insidie delle agilità che si susseguono nelle difficili cabalette. Così come Salsi, Pirozzi dimostra una piena padronanza vocale che le consente in scioltezza di porre grande attenzione e cura al lato interpretativo, tra accenti, sfumature, colori, legati e staccati e all’espressività musicale e scenica.

Su Michele Pertusi si ha ormai poco da dire. Nobile, regale (anche un filo troppo forse) ma soprattutto magistrale nel fraseggio e nella linea di canto. La voce è ancora di ottima qualità e condizione, scura, calda e perfettamente emessa. Il suo “Come dal ciel precipita” strappa grandi e sacrosanti applausi. Antonio Poli nei panni di Macduff, ruolo tenorile non di primissimo piano ma che pure si riserva momenti importanti, come nella celebre “Ah la paterna mano”. Il tenore si fa apprezzare per il bel timbro, pur non così ampio per volume ma indubbiamente godibile e per la morbidezza del canto.
Da segnalare le prove positive di Matteo Mezzaro nei panni di Malcolm, Gabriele Ribis in quelli del medico e Alexandra Zabala, dama di Lady Macbeth. Giovanni Bellavia è Sicario, Domestico e Prima Apparizione, Adelaide Devanari è Seconda e Terza Apparizione.

A completare il tutto c’è la direzione di Philippe Auguin, sicura, sempre ben calibrata nel rapporto tra buca e palcoscenico, elegante ed equilibrata nel suono (della Filarmonica Arturo Toscanini e dell’Orchestra giovanile della Via Emilia) e dai tempi corretti ed incisivi.
Molto positiva, come sempre, la prova del Coro del Teatro Regio, preparato dal Maestro Martino Faggiani.
Grigorij Filippo Calcagno
Parma, 11 ottobre 2018