Come di consueto nella stagione autunnale, VeronaLirica ha riaperto le porte del Teatro Filarmonico al suo pubblico, per la stagione di concerti che è ormai diventata appuntamento fisso per gli amanti del melodramma e della musica colta (definizione orribile, ma efficace).
Il primo appuntamento presentato come sempre dall’istrionico e sagace Davide Da Como, vedeva la partecipazione di un quartetto di interpreti tutti di solida esperienza e di una “guest-star” come direbbero gli anglosassoni. Quest’ultimo era il giovane pianista (18 anni) Daniele Lasta, che si è cimentato con alcuni brani di virtuosismo pianistico, come lo “Scherzo n.1 in si minore op.20” di Fryderyk Chopin, in cui ha messo in evidenza oltre ad un eccellente nitore tecnico, una bella espressività che non potrà che crescere con l’esperienza.
Ad accompagnare i cantanti la sempre impagabile Patrizia Quarta al pianoforte.

©️Chiara Passudetti

Giuseppe Varano (tenore) evidenziava un timbro scuro e di bel colore, che si imponeva in particolare nell’aria di Riccardo in “Un ballo in maschera” (Forse la soglia attinse…Ma se m’è forza perderti).
Serena Gamberoni si cimentava con coraggio nel personaggio di Adriana Lecouvreur (“Io son l’umile ancella”), per poi dopo essere un’ottima Mimí (“Donde lieta uscì”), mettendo in luce una bella delicatezza espressiva.

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Vere e proprie gemme della serata le prestazioni di Alberto Gazale e Manuela Custer.
Il baritono, pupillo del pubblico veronese, fin dagli studi compiuti in città e da quel Ballo in maschera areniano del 1998 entrato nella storia, sfoderava tutto il suo talento di interprete, centrando perfettamente l’essenza di tutti i personaggi ritratti, da Macbeth (“Pietà, rispetto, amore”), a Carlo Gérard (“Nemico della patria”), fino a Rigoletto nel duetto del I atto con la Gamberoni. Tutti dipinti attraverso una voce possente, nobile, ma estremamente pregnante e un’interpretazione teatrale di forte presa e fascino quasi magnetico.

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Travolgente è Manuela Custer, a cui la parola “Artista” sembra scolpita addosso. Basterebbe prendere le introduzioni dei brani, quella color pastello di Mignon “Connais-tu le pays” o quella pastorale di “Che farò senza Euridice” dal capolavoro di Gluck, e vedere come si muove la Custer, le espressioni del viso, il gioco con la stola di velluto, che da sola tra l’altro crea due mise raffinatissime. L’incredulità di Orfeo ritratta negli occhi e nel passo stentato del mezzosoprano friulano, la malinconia e la nostalgia di Mignon che racconta della sua terra, tutto unito ad una vocalità che viene piegata, pur nel magistero di una tecnica pressoché perfetta, alle esigenze espressive più profonde. Strepitoso congedo con “’A vucchella”, sospirata con malizia e ironia.

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Gran finale con il quartetto del Rigoletto e un commosso applauso in ricordo di Montserrat Caballé.

Francesco Lodola

Verona, 14 ottobre 2018

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