Il consueto appuntamento stagionale con un’opera suonata con strumenti storici, inaugurato dalla nuova sovrintendenza, quest’anno si è orientato sul giovane Mozart, riportando in scena un titolo sicuramente non frequente ma nemmeno del tutto sconosciuto, che anzi ha ottenuto negli ultimi decenni una attenzione senz’altro meritata: La finta giardiniera, dramma giocoso rappresentato a Monaco nel 1775 che, se dal punto di vista drammaturgico può rivelare tutte le “gratuità” e le prolissità tipiche di uno spettacolo concepito per essere visto e ascoltato con modalità completamente diverse da quelle che il teatro otto-novecentesco ha stabilito, d’altra parte contiene momenti musicali che indubbiamente sono di grande pregio e rivelano qualcosa del compositore che di lì a poco creerà i capolavori della trilogia dapontiana e delle opere serie.

Il cast vocale è stato davvero di ottimo livello, a cominciare da Kresimir Spicer, dal timbro pieno e abbastanza scuro per la gamma tenorile, ma dall’emissione lineare e limpida.
Anche Hanna-Elisabeth Müller (Sandrina), con un timbro chiaro ma perfettamente udibile e una voce corposa, ha interpretato la protagonista con grande slancio e con una notevole precisione esecutiva.

Bernard Richter è forse tecnicamente il più preparato: tenore dotato di un timbro splendido, limpido e sostenuto, ha affrontato la parte non facile, ricca di virtuosismi nelle arie con grande spontaneità e con una emissione luminosa, corretta e precisa.
Annett Fritsch ha reso la sua parte (Arminda) con la sua voce ampia e ben distribuita su tutti i registri, e in modo uguale anche il suo amante, Ramiro interpretato da Lucia Cirillo, con una vocalità leggermente più scura di quella delle altre cantanti, ha dato vita a un personaggio completo e convincente.

La coppia dei “servi”, Serpetta e Nardo, era affidata a Giulia Semenzato e Mattia Olivieri. Entrambi attori esperti, dalla capacità scenica disinvolta e mai volgare o superficiale (malgrado alcune scelte di regia), bisogna ricordare in particolare l’aria di Nardo nel secondo atto, che Olivieri ha eseguito in modo del tutto coinvolgente e con grande attenzione all’esecuzione musicale e del libretto, con una voce piena e ben gestita.

L’orchestra della Scala, diretta da Diego Fasolis che ormai è il punto di riferimento per questi titoli, ha dato prova di grande precisione, oltre che di un bellissimo suono. La lettura del direttore è stata interessante, volta sia a privilegiare e a mettere in rilievo delle idee musicali innovative e virtuose contenute nella partitura, ma senza dimenticare la cifra “drammatica” dello spettacolo, che ha un libretto che, per quanto forse un po’ prolisso e inverosimile, non si può evitare di definire rocambolesco anche in senso positivo.

Frederic Wake-Walker torna alla Scala dopo delle Nozze di Figaro non convincenti, e invece questo spettacolo sembra azzeccato: è divertente, leggero come il libretto richiede, con effetti talora forse anche troppo “moderni” (l’insieme del secondo atto, dove la scenografia viene letteralmente fatta a pezzi mentre si canta, che ha causato non pochi problemi di coordinazione fra buca e palco, così come l’aria di Serpetta, con un mezzo spogliarello certo malizioso come il testo ma forse un po’ inutile). Ma anche le componenti più intime e riflessive non sono state trascurate da questa regia, che peraltro si avvale di una scenografia duttile, moderna anche se di stile settecentesco e visivamente gradevole. Un ottimo compromesso fra un allestimento “filologico”, che sarebbe risultato probabilmente noioso, e una produzione in chiave contemporanea.
Un successo pieno ha accompagnato la serata.