L’apertura di una stagione lirica per un teatro è sempre qualcosa di molto importante. Quest’anno la fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi ha deciso di inaugurare con “I Puritani” di Vincenzo Bellini, affidando la direzione musicale al M° Fabrizio Maria Carminati e la regia al celebre soprano Katia Ricciarelli, affiancata da Davide Garattini Raimondi. La compagnia di canto scelta per allestire quest’opera “bella ma difficile” vede Elena Mosuc e Ruth Iniesta nel ruolo di Elvira, Antonino Siragusa e Shalva Mukeria in quello di Lord Talbo, Mario Cassi e Stephen Gaertner come Sir Riccardo, Alexey Birkus e Abramo Rosalen come Sir Giorgio e Albane Carrère nei panni di Enrichetta di Francia (successivamente sostituita da Nozomi Kato). Il ruolo di Sir Bruno è affidato al tenore Triestino Andrea Binetti e Lord Gualtiero a Giuliano Pelizon.

L’allestimento a cura di Paolo Vitale prevede scena fissa, videoproiezioni e luci poco interessanti, pur essendo stata la struttura scenica costruita molto bene. L’idea della scena fissa ha fatto sì che la musica non ne giovasse, trovando spesso affaticamento. I costumi disegnati da Giada Masi sono apparsi da subito ben curati e adeguati all’epoca in cui si svolge l’azione. Francesca Tosi ha mantenuto alto il lavoro sin qui svolto, preparando il coro in modo impeccabile. Ruth Iniesta, giovane soprano di origine spagnola, è, in un’unica parola, brava: la sua presenza scenica è stata come aria fresca in una produzione di non facile ascolto. Shalva Mukeria, che in questa recita interpreta Lord Talbo, vocalmente ha saputo ben tenere lo spettacolo, mentre dal punto di vista scenico è sembrato piuttosto impacciato e rigido nei movimenti.

Nozomi Kato è stata una buona Enrichetta, sia vocalmente che attorialmente. Stephen Gaertner si è ben disimpegnato nel proprio ruolo, non riuscendo però a trasmettere al pubblico in sala calore e interesse. Abramo Rosalen ha dato il meglio di sé nel secondo atto, restando piuttosto in sordina nel resto dell’opera. Andrea Binetti ha fornito una buona interpretazione di Bruno Roberton, con naturalezza e voce piena. Giuliano Pelizon è una garanzia sia dal punto di vista recitativo che da quello vocale.

Fabrizio Maria Carminati, che nella serata della prima ha ricevuto l’incarico di primo direttore ospite, ha dato una lettura “ad hoc”, inserendo, come da lui stesso accennato, due duetti vittime dei tagli di tradizione. Chi scrive si sente in seria difficoltà a giudicare l’interpretazione dell’opera in positivo o in negativo, se non esprimendo una non totale condivisione delle scelte operate. La regia a quattro mani non ha visto grossi o eclatanti movimenti, ma ha svolto il proprio compito nel rispetto massimo della partitura. L’orchestra della Fondazione ha ben tessuto il tappeto sonoro di quest’opera di rara esecuzione: da segnalare l’eccellente resa della sezione dei corni, con sonorità sempre piena e convincente, e il suono angelico dell’arpa di Marina Pecchiar. Un allestimento che, a giudicare dalla risposta del pubblico, vince ma non convince, con pochi momenti di applausi a scena aperta.
Matteo Firmi
Trieste, 17 novembre 2018