Dopo un’apertura di stagione in sordina con Il trovatore di Giuseppe Verdi,
produzione sicuramente non segnata dal successo, calca il palcoscenico sabaudo
L’elisir d’amore, nell’allestimento del teatro Regio di Torino andato in scena per la
prima volta nell’estate del 2013 a conclusione della stagione 2012/2013.
Complice forse la poca distanza temporale che ha separato le due produzioni, la sala
aveva poltrone vuote a vista d’occhio, riconfermando, almeno per ora, il non
raggiungimento dell’obbiettivo fissato dai rinnovati vertici teatrali di tornare a
realizzare il “tutto esaurito” con un cartellone di titoli nazional-popolari.
Nonostante una sala non propriamente gremita, il calore del pubblico durante la
recita è stato un’importante testimonianza della qualità di questo allestimento del
melodramma giocoso per eccellenza, sia dal punto di vista scenico, sia musicale.
All’apertura del sipario appare subito evidente l’atmosfera esuberante e vivace
dell’ipotetico paesino italiano di campagna degli anni ’50 del secolo scorso, nel quale
il regista Fabio Sparvoli ha deciso di trasporre la vicenda; un’idea di per sé non
originale, ma vincente se motivata da una cura del dettaglio, dei movimenti dei
personaggi e delle azioni tale da rendere la vicenda non un susseguirsi di scontati
sketch comici, ma una piacevole e divertente sorpresa, ed in ciò Sparvoli è riuscito
pienamente.

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©Edoardo Piva/Teatro Regio Torino

Le scene firmate da Saverio Santoliquido sono semplici, ma estremamente d’effetto
e piacevoli alla vista, così come i colorati costumi di Alessandra Torella; il tutto
risulta sorretto dalle cinematografiche luci di Andrea Anfossi, che hanno saputo
ricreare correttamente sia le atmosfere più festose e felici, sia quelle più meschine e
miserabili.
Sul versante musicale si è delineata un’ottima continuità nella compagnia di canto.
L’Adina di Lavinia Bini, è un personaggio perfettamente centrato scenicamente,
evidentemente saldo nel repertorio del soprano toscano; emergono con assoluta
spontaneità tutti i caratteri che caratterizzano il ruolo della giovane, ricca, bella e
viziata fittaiuola: la malizia, l’orgoglio, la leggerezza, ma anche la delicatezza e la
dolcezza. Dal punto di vista vocale, la Bini ha un piacevolissimo timbro rotondo e morbido, ed una voce di uno spessore inaspettato, nonostante un vibrato forse un po’ accentuato negli acuti.

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©Edoardo Piva/Teatro Regio Torino

Il tenore Giorgio Berrugi, affezionata presenza al Teatro Regio, ha delineato un
Nemorino di estrema semplicità caratteriale, ingenuo e distaccato dalla realtà, ma
non per questo incapace di ottenere ciò che si prefigge. Vocalmente Berrugi convince pienamente non solo per una voce incredibilmente duttile, ma per un sapiente fraseggio e una notevole raffinatezza nel porgere la parola.
Annunciato indisposto ad inizio recita, Roberto de Candia viene sostituito dal
baritono spagnolo Simón Orfila, il quale riceve lunghi e meritati applausi per un
Dulcamara eccellente a livello scenico e altrettanto notevole a livello vocale, per una
linea di canto raffinata, salda e robusta, e nel merito del personaggio, gigionesco, ma mai volgare.

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Julian Kim è un degno Belcore, che ha saputo rendere con ottima insolenza,
sfacciataggine ed un pizzico di impacciamento.
Hanno completato il cast il soprano Ashley Milanese, che si è rivelata una Giannetta
di lusso, ed il simpatico mimo Mario Brancaccio nel ruolo dell’assistente del dottor
Dulcamara.
Unico aspetto non pienamente convincente, la direzione del Maestro Michele
Gamba, alla guida dell’Orchestra del Teatro Regio di Torino, il quale ha gestito con
eleganza la partitura donizettiana, ma non ha fatto emergere quel brio e
quell’effervescenza che ci si aspetta di sentire in più punti nel corso dell’opera.
Ottimo il coro diretto da Andrea Secchi, coinvolgente scenicamente e vocalmente.
A fine serata si può sicuramente affermare che a livello artistico vi sia stato un
riscatto rispetto alla deludente apertura di stagione.

Stefano Gazzera

Torino, 24 novembre 2018

 

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