“La musica vince sempre”: mai come in questo caso la frase sembra azzeccata. Dopo giorni di lotte e crisi intestine, scaturite in tre giornate di sciopero, al Teatro Filarmonico di Verona è finalmente andata in scena “La Bohème”. Il problema di una gestione problematica non è comunque risolto, e speriamo non si rimandi troppo il momento in cui i nodi verranno districati. Il titolo pucciniano è uno di quei titoli che raccolgono attorno a sé tutta la famiglia di un teatro. È un titolo impegnativo che richiede numerose masse e maestranze artistiche e tecniche. Fondazione Arena riesce a portare nonostante la mancanza di aggiunti il titolo in scena, anche se la mancanza di trucco e parrucco, per esempio, non ha aiutato.

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©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

Si rimane perplessi davanti alla scelta dell’allestimento, quello torinese datato 1996 e firmato da Giuseppe Patroni Griffi, che approda per la prima volta sulle scene veronesi. È certamente una bella produzione, ma non si capisce perché venga rinchiusa in soffitta quella veronese del 2014 firmata da Pier Francesco Maestrini, altrettanto suggestiva. Misteri della fede e del teatro.
Purtroppo del fascino originario delle scene di Aldo Terlizzi Patroni Griffi rimane ben poco, visto che il ristretto (rispetto al Regio di Torino) boccascena del Filarmonico costringe ad una compattazione delle scene un tantino claustrofobica, soprattutto nel II quadro. Il III quadro con la neve suscita l’applauso a scena aperta, ma subito dopo si rivelano le pecche di un montaggio di scene con riuscitissimo, con il fondale con qualche piega di troppo e il pavimento innevato che si solleva ad ogni passo.
La ripresa della regia, curata da Stefano Trespidi, tendeva ad abbandonare i cantanti a loro stessi, con alterni risultati considerando la giovinezza degli interpreti. Un dettaglio per tutti: quando Rodolfo chiede a Mimì che cosa desidera ordinare i due si alzano in piedi, come a voler annunciare a tutto il quartiere latino che Mimí vuole la crema. Poco felici anche i movimenti delle masse.

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©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

Fortunatamente le gioie vengono dal podio e dagli interpreti di Musetta e Marcello.
Francesco Ivan Ciampa dipinge una Bohème stilizzata, che rende vivo e rapido il dramma, catturandone però tutta la vena poetica. È una Bohème che profuma di gioventù spezzata, di grandi accensioni e slanci passionali, ma anche di tanti sussurri e parole non dette. Tanti sono i bei momenti, come l’attacco di “Ma quando vien lo sgelo…” o il poco rallentando e i pianissimi nella chiusa finale che ispirano vera commozione. Peccato che molte delle cose che Ciampa realizza grazie alla brillante orchestra areniana rimangano lì, senza che il palcoscenico ne sappia cogliere gli stimoli.
Nel ruolo del doganiere e del Sergente dei doganieri Nicolò Rigano e Maurizio Pantò. Bene Gregory Bonfatti nei panni di Parpignol come Roberto Accurso nei di Benoît e Alcindoro.

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©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

Ottimo Romano Dal Zovo nei panni di Colline: voce di autentico basso messa al servizio di un fraseggio curato e sensibile, di cui la “Vecchia zimarra”  tutta giocata su accenti sfumati ha goduto appieno (grazie anche all’accompagnamento di Ciampa).
Altrettanto ottimo lo Schaunard Biagio Pizzuti, buon attore e ottima voce di baritono brillante, ben proiettata e tornita.

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©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

Non convince Oreste Cosimo, il cui Rodolfo non possiede l’ampiezza e la proiezione vocale necessarie, così che la puntatura al Do della manina non viene centrato. Lo sforzo di fraseggiare e di risolvere la scrittura pucciniana è evidente e lodevole, ma vi è una imparità tra il ruolo e la caratura vocale del tenore.

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©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

Maria Mudryak (Mimí) possiede un fior di voce, di bellissimo timbro e di volume imponente. Tuttavia tecnicamente ci sarebbe bisogno di un ulteriore perfezionamento, in particolare nel registro acuto. L’esperienza poi la porterà certamente a sapersi abbandonare ad un’espressività più ricca scaltrita che ora manca.

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©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

Trionfatrice è quindi la coppia formata da Valentina Mastrangelo (Musetta) e Davide Luciano (Marcello). Il soprano dispiega tutto il suo fascino vocale in grado di incarnare il vero canto pucciniano con timbro cremoso, sfumature aeree e femminilità delicata. Il valzer risulta uno dei momenti più riusciti dell’intera serata e anche la preghiera della scena finale è intensa e commossa. A questo si aggiunge la recitazione spigliata e brillante. Una Musetta ideale che sarà un giorno una splendida Mimí.

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©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

Davide Luciano è un Marcello di forte pregnanza scenica e musicale con una voce sanissima, calorosa e un carisma magnetico nonché ispiratore di naturale simpatia. Il baritono è capace di frasi a voce piena solari e rotonde così come pianissimi morbidissimi in grado di sovrastare l’imponente orchestra pucciniana.
Alla fine calorosissimo successo.

Francesco Lodola

Verona, 23 dicembre 2018

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