Vedere nascere sotto i propri occhi delle giovani voci e dei giovani è sempre una grande gioia: è come una luce di speranza che si accende, speranza nei giovani e nel futuro della lirica che in Italia sembrerebbe compromesso. E anche se non tutto è perfetto ci si bea nell’entusiasmo dei giovani che credono in quello che fanno, con una felicità radiosa nel canto che è ben percepibile. Questo è quello che si avverte nella recita de “La Bohème” al Teatro Filarmonico di Verona il 29 dicembre, fin dalla direzione di Francesco Ivan Ciampa sempre ispiratissima, capace di portare l’orchestra a dipingere le più recondite pieghe della partitura pucciniana. E l’orchestra gli risponde alla perfezione con suono sontuoso e efficace rilievo interpretativo. Da lodare anche l’amore di Ciampa per i cantanti sempre sostenuti e stimolati. Bene il coro diretto da Vito Lombardi e il coro di voci bianche A.Li.Ve. diretto da Paolo Facincani.
Le tre giovani rivelazioni nel cast si chiamano Eunhee Kim, Yao Bo Hui e Francesco Leone.
Quest’ultimo è un Colline giovanissimo (finalmente!), di soli 24 anni, dotato di vocalità preziosa, fresca ma imponente, senza essere cavernosa. Sa cogliere perfettamente l’intensità della “Vecchia zimarra” e la porge con una sincerità espressiva ed eleganza belcantista che gli frutta un caloroso applauso a scena aperta. Una promessa che diventerà presto una bella realtà.
Yao Bo Hui è una Musetta che ispira simpatia fin dalla sua entrata in scena: colpisce il temperamento pepato, la recitazione spigliata e giocosa. A questo si aggiunge una vocalità da soubrette brillante in tutta la gamma, capace di sfoggiare acuti luminosi e una capacità comunicativa vocale tutta da lodare.
Eunhee Kim ha una voce benedetta dal cielo per bellezza, calore e ampiezza. La fortuna è che la sa anche utilizzare praticamente alla perfezione donando vigore e canto rigoglioso alle grandi e ampie frasi pucciniane e sostenendo con raffinatezza gli accenti a fior di labbro. Esegue la prodezza del fiato unico tra “E in cielo…Ma, quando vien lo sgelo..”, raccogliendo alla perfezione il pianissimo dell’orchestra, ma risulta addirittura commuovente in “Donde lieta uscì” cantata tutta in un intimo sussurro e nelle esplosioni di malinconia di “Sono andati? Fingevo di dormire”. Le manca solo un’oncia di coraggio in più per essere la Mimí perfetta.

Francesco Pio Galasso è un Rodolfo di buon spessore che cresce mano a mano che la temperatura drammatica della vicenda aumenta. La vocalità di tenore spinto non si adatta alla perfezione al personaggio che sembra stare stretto al temperamento drammatico del cantante, tuttavia sono da lodare le intenzioni di fraseggio sfumato quasi sempre ben realizzate.
Gianfranco Montresor è un ottimo Marcello dalla recitazione energica e dalla vocalità ben tornita.
Nicolò Ceriani (Schaunard) ha uno strumento imponente per volume, ma talvolta esagera risultando un po’ troppo spesso caricaturale.
Bene Roberto Accurso (Benoït/Alcindoro) e Gregory Bonfatti (Parpignol).
Completavano il cast Maurizio Pantò (Sergente dei doganieri) e Nicolò Rigano (Doganiere).

L’allestimento di Patroni Griffi rimane una bella cornice grazie soprattutto alle scene di Aldo Terlizzi Patroni Griffi. Peccato che sia evidente la mancanza di una vera guida registica, che soprattutto con una compagnia di giovani praticamente al debutto sarebbe stata essenziale. Sicuramente le poche prove hanno giocato un ruolo importante in questo. Lamentiamo inoltre la mancata ripresa dell’allestimento del 2014 di Pier Francesco Maestrini, suggestivo e dal meccanismo teatrale indubbiamente più moderno.
Francesco Lodola
Verona, 29 dicembre 2018