Mai come in questo momento in Italia si sente il bisogno che il pubblico abbracci la propria cultura e salvaguardi le istituzioni musicali che tanto prestigio e gloria hanno data al nome dell’Italia. La situazione in cui versa Verona è una, se non la più terribile tra le realtà musicale della nostra sciagurata penisola. Fortunatamente sembra però che la cittadinanza si stia cominciando a svegliare e il teatro quasi pieno è un bel segnale. Ci auguriamo che sia un risveglio veloce, per combattere accanto ai lavoratori che come sempre sono i primi a soffrire.

Al primo concerto della stagione sinfonica di Fondazione Arena è arriso tuttavia un bel successo, nonostante un organico privato di numerosi componenti, e nonostante un cambiamento del programma previsto causato appunta dalla mancanza degli elementi orchestrali necessari (l’identica ragione per cui il Mefistofele inaugurale è mutato in Don Giovanni).

A garantire l’esito della serata, sul podio il Maestro Gustav Kuhn, dal gesto mai teso alla spettacolarità, ma fortemente intimo e attento a intessere una tela strumentale di preziosa filigrana. Eccellente in questo senso la trasparenza della Sinfonia n. 39 in mi bemolle maggiore “Schwanengesang” (Canto del cigno) K 543 di Mozart. Ieratica invece l’esecuzione di Egmont, Ouverture op. 84 in fa minore, capolavoro beethoveniano, di cui Kuhn ha messo in risalto la monumentalità e l’ampiezza delle grandi cavate melodiche. L’orchestra dell’Arena di Verona rispondeva agli stimoli del maestro con uno stato di grazia.
La voce rotonda e dai toni perlacei del soprano Maria Radoeva ha aperto la seconda parte del concerto con i Wesendock-Lieder, di cui ha dato sincera interpretazione ed espressività.
Grande protagonista è il coro, anch’esso in stato di grazia, diretto da Vito Lombardi con l’ispiratissima pagina mozartiana “Ave verum corpus” e il solenne “Te Deum laudamus Hob XXIIIc:2” di Haydn.
Alla fine come si è detto un caloroso successo.
Francesco Lodola
Verona, 12 gennaio 2019