Donna Anna, Susanna, Adina, Violetta, Oscar: sono queste le anime di Laura Giordano, soprano italiano tra i più brillanti della sua generazione. Una carriera ricca di grandi successi sui più grandi palcoscenici nazionali ed internazionali e sotto la guida delle bacchette più prestigiose del panorama musicale mondiale. In questi giorni, dopo aver inaugurato la stagione lirica del Teatro Regio di Parma, dando l’addio al ruolo di Oscar in “Un ballo in maschera”, Laura Giordano è impegnata nel ruolo di Donna Anna nel “Don Giovanni” che domenica (27 gennaio 2019) aprirà ufficialmente la stagione del Teatro Filarmonico di Verona. E in occasione di questo suo atteso debutto veronese, abbiamo avuto il piacere di poterla intervistare…

Com’è nato il tuo amore per il canto?
Canto da quando ero piccolissima. Il canto è sempre stato presente nella mia vita, è come respirare. È stata sempre una tendenza naturale del mio essere, ma non credevo assolutamente di farne una professione. Lo è diventata, quando per caso incontrai l’opera, intorno ai quattordici, quindici anni, e cominciando a cantare imitando i grandi cantanti del passato. Mio padre piuttosto disperato, così come i vicini (ride), perché in casa cantavo in continuazione, mi portò dal Maestro del coro del Teatro Massimo e gli chiese se poteva ascoltarmi per vedere se avevo talento o se potevano farmi tacere (ride). Questo maestro disse a mio padre che senza aver studiato sembravo già pronta per il palcoscenico. Mi fece ascoltare dal direttore artistico che rimase colpito e cominciò a darmi i primi ruoli. Praticamente senza rendermene conto iniziai a lavorare e a guadagnare. Mi sono venuta a trovare subito nel mondo del lavoro mentre ero al liceo e volevo fare la veterinaria. È stato il canto a mettersi sul mio cammino e da quel momento non ci siamo più lasciati…

La possiamo definire una vocazione?
Assolutamente! Il canto io lo definisco così. Ne ho parlato anche con dei sacerdoti, perché lo vedo come una vocazione spirituale nel vero senso della parola. Fa parte della mia vita, del mio quotidiano, e non potrei farne a meno, per niente al mondo.

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Parliamo di Donna Anna, che interpreterai al Teatro Filarmonico di Verona…
È un ruolo un po’ bistrattato. Molti hanno un’idea di questo personaggio come noioso e con poca personalità. Invece è un personaggio molto attuale: cosa c’è di strano nell’essere combattuti fra la società e la passione animale. Quante persone, donne, vediamo, schiacciate dall’apparire, dai soldi del marito, dalla smania di far parte della buona società e che sentono interiormente invece un altro impulso più carnale. È un personaggio che mi piace. Vocalmente è un balsamo per il cuore: la bellezza di questo canto, la morbidezza di cui ha bisogno, il canto spiegato, legato, incisivo e sempre rotondo. Con Elvira de “I Puritani” è uno dei ruoli che amo di più. Entrambe hanno un combattimento interiore che si risolve nel canto e che li rende personaggi interessantissimi.

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Prossimamente sarai Susanna ne “Le Nozze di Figaro” al Teatro del Maggio Musicale Fiorentino…un altro ruolo mozartiano…
Susanna è una vecchia amica (ride)….in lei tutto è teatro. Mentre Anna ha una parte di teatro importante, ma una parte canora molto impegnativa, Susanna è per il novanta per cento teatro. L’aria è l’unico momento in cui il canto acquista un rilievo maggiore rispetto all’azione teatrale. Mi piace moltissimo essere Susanna. Questo è quello che adoro del mio mestiere: entrare in un mondo parallelo, quando si spengono le luci, il pubblico è in sala, le prove sono finite…io mi purifico, come se lasciassi le mie vesti e la mia pelle fuori dal palcoscenico ed entrassi dentro un altro mondo. Credo di aver vissuto più vite. Non è semplicemente il canto ad appassionarmi: quando ascoltai quella Traviata di Renata Scotto che mi fece appassionare, non fu solo la musica a colpirmi. Non sapevo la storia di Violetta, non conoscevo Alfredo e neanche Germont padre, ma sono entrata dentro un libro straordinario, ho vissuto delle emozioni intensissime. Ho sentito grande il teatro che c’era dietro quelle note. L’opera è teatro amplificato, perché la musica evoca delle emozioni che la parola da sola non è in grado di farlo.

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A proposito di Traviata, recentemente sei stata per la prima volta Violetta…
Mamma mia! Che emozione! Devo dirti che non sono stata sopraffatta come immaginavo dall’emozione. L’ho messa nella mia pelle come spesso mi capita. Solo alla prima, nel terzo atto, mentre ero nel letto, mi sono resa conto di quello che stata accadendo e ho sentito un brivido nel mio cuore. Ma è stato talmente tutto così facilmente sovrapponibile alla mia voce e alla mia espressione artistica che non me ne sono accorta. Ho debuttato il ruolo in cinque giorni. Non l’ho affrontato prima per il grande rispetto che nutro per questo ruolo e perché volevo aspettare la maturazione della mia voce. Ho sempre detto che lo avrei debuttato vicino ai quarant’anni tutte le volte che mi è stato chiesto questo ruolo ed è andata proprio così. L’ho sentita come una seconda pelle. Penso al finale, che siamo abituati a sentire con le note parlate (“È strano!…Cessarono..”) e qualche volta un po’ sopra le righe: la prima volta che l’ho cantato sono andata a leggere come è scritta in partitura ed è meravigliosa così come Verdi l’ha pensata e l’ho voluta cantare esattamente così. Su quel “Oh gioia!” finale non ho visto più niente, sono caduta a terra realmente. Quando sono tornata a casa dopo le recite, ho finalmente realizzato di aver cantato Violetta, uno dei miei sogni assoluti!

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Quanto è importante il controllo delle emozioni sul palcoscenico?
Deve essere assoluto, perché altrimenti sei convinto di vivere delle emozioni profonde senza riuscire però a trasmetterle a nessuno. L’interprete è un mezzo e tale deve rimanere. In caso contrario rischi di schiacciare Verdi e Piave che sono i veri protagonisti (nel caso di Traviata) e il personaggio stesso. Devi creare un vuoto dentro di te e fuori, devi essere una matita, un canale attraverso il quale passano le emozioni. Nel momento in cui vivi e butti troppo di te stessa in un personaggio pecchi di ubris.

Nella tua carriera hai prestato la tua spiccata attorialità anche al mondo del cinema….com’è nata questa avventura?
Si, ed è stato molto divertente. Tutte le mattine al trucco, durante queste convocazioni lunghissime che gli attori hanno, guardavo gli altri, che erano professionisti che passavano la vita ad aspettare e non riuscivo a capire in cosa consistesse la difficoltà della vita dell’attore. Poi ho capito che ci vuole più sapienza di quella che io pensavo. È vero che c’è uno sforzo fisico e mentale minore, ma quando ho visto il film completato, ho realizzato che loro erano riusciti a rendere veri i loro personaggi, mentre io ero troppo me stessa. Credo quindi che ognuno è meglio che faccia il proprio mestiere. Però è stata un’esperienza bellissima e che rifarei!

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Sei stata svariate volte ospite in trasmissioni televisive e appari costantemente sui media: quanto è importante tutto questo per una cantante lirica oggi?
Diciamo che come avrai notato la vena oratoria non mi manca e spesso mi si deve bloccare per farmi smettere di parlare! (ride). Comunque oggi questo aspetto della mediaticità è molto più importante è dobbiamo gestire delle cose che cinquant’anni fa si sognavano: immaginatevi Franco Corelli che gestisce la sua pagina Facebook o che fa i selfie con i suoi ammiratori! Impensabile. Io cerco di gestire tutto personalmente e non sono così brava come altre mie colleghe che ammiro e cerco di emulare. Il nostro mestiere è fatto inevitabilmente anche di questo. Siamo persone che si espongono pubblicamente, e per riempire i teatri serve avere un “nome” che la gente conosce. Per fare questo nel 2019 bisogna sfruttare i media. Con il nuovo anno mi impegnerò di più in questo senso, senza però che questo vada ad incidere sulla mia vita privata: non bisogna farsi prendere troppo dalla smania di postare e condividere foto della propria quotidianità. In questo modo si perdono momenti belli e veri. Non voglio essere un pupazzo da esposizione, ma voglio assolutamente utilizzare i linguaggi che oggi la tecnologia e i media ci forniscono.

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Parliamo invece di Oscar, un personaggio a cui hai deciso di dire addio nelle recite di “Un ballo in maschera” a Parma…Come sei arrivata a questa decisione?
Ho lasciato che compisse i diciotto anni e che diventasse maggiorenne. Queste recite sono stata un’esperienza molto bella che però mi ha permesso di capire che vocalmente non aveva più nulla da darmi, mentre teatralmente ho capito che rimarrò sempre un po’ Oscar. Personalmente Laura è un po’ simile a Oscar (ride), un po’ dispettosa, ma anche con la tendenza a voler sempre far sorridere gli altri, pur essendo schietta e dicendo sempre la verità. Non ho barriere e strutture mentali che mi chiudano davanti alla novità. Sono quella di sempre, tuttavia questo ruolo mi costringerebbe a stare su un binario che è troppo stretto per me dopo ventiquattro anni di carriera. Gli unici motivi per cui potrei cantarlo sarebbero la simpatia o i soldi, ma non sono entrambi nel mio progetto di carriera.
In questo momento stai cantando al Teatro Filarmonico, ma a Verona c’è anche l’Arena…c’è un ruolo che ti piacerebbe cantare in anfiteatro?
Mi piacerebbe cantare qualcuno dei classici delle produzioni areniane: penso a Liù in “Turandot” o Micaëla in “Carmen“ che è diventata una presenza abituale nel mio repertorio. Sarebbe bello cantare Juliette all’Arena, un ruolo che aspetto di fare con grande trepidazione perché è già pronta e perché amo il repertorio francese (essendo la mia seconda lingua). Poi dove canti Juliette se non a Verona? Non vedo l’ora che mi arrivi qualche proposta di cantare ancora qui!

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C’è qualche altro ruolo che sogni e che non ti è stato ancora offerto?
Credo che a pari merito ci siano Manon, Juliette, Marguerite in “Faust”. Mi piace interpretare personaggi che hanno all’interno processo psicologici profondi.

A proposito di questo come crei i tuoi personaggi dal punto di vista vocale e teatrale (penso ad Elvira e alla scena di pazzia)?
Parto sempre dal canto e da quello che mi evoca. Poi ognuno inserisce anche quello che la vita gli ha portato a provare: sarebbe difficile per me essere e cantare “Suor Angelica” senza aver avuto l’esperienza di essere madre. Questo solo per fare un esempio, poiché non credo che canterò questo personaggio in futuro. Però la musica lì è così chiara e la psicologia del personaggio così profonda che solo chi ha vissuto la maternità può comprenderlo.
Ricordiamo i tuoi prossimi impegni…

Prossimamente sarò Susanna ne “Le nozze di Figaro” e Adina ne “L’elisir d’amore” al Teatro del Maggio Musicale Fiorentino!

Grazie a Laura Giordano e In bocca al lupo!

Francesco Lodola

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