Il 2019 sabaudo si è aperto con una trionfale Madama Butterfly, sotto il miglior auspicio per una stagione cominciata poco dignitosamente e presto andata migliorando con l’Elisir d’amore e successivamente con Traviata.
Il celebre titolo pucciniano mancava nel teatro torinese dal vicino 2014, quando per tre stagioni, a distanza di due anni ciascuna, era andato in scena con la regia di Damiano Michieletto, che tanto aveva fatto parlare di sé per la sua ambientazione contemporanea, da molti apprezzata e da altrettanti detestata.
Per questa produzione dello Sferisterio di Macerata, regia, scene e costumi sono stati affidati al celebre Pier Luigi Pizzi in un allestimento all’insegna della tradizione, dell’atmosfera, dei tempi e dell’equilibrio tipicamente orientali, che subito riportano a quel Giappone nostalgico e lontano, paese del sol levante.

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©Edoardo Piva

La scenografia, estremamente semplice ed efficace, rimane immutata per tutta la durata dell’opera e si caratterizza dalla casa di Cio Cio-san, da alcune passerelle di legno e da un tipico ciliegio in fiore.
I movimenti in scena risultano essere mai statici o annoiatori, ma studiati con cura per porre in risalto le differenze tra la cultura giapponese e quella americana.
Le tenui luci color pastello di Fabrizio Gobbi hanno contribuito a creare l’atmosfera sognante dell’allestimento, assieme ai costumi, anch’essi nel pieno rispetto della tradizione.
Sicuramente d’effetto, nella sua sovrapposizione all’interludio, l’onirico balletto su coreografia di Francesco Marzola, che ha visto protagonisti Letizia Giuliani e Francesco Marzola; mentre inaspettata ed incomprensibile la scelta, sul finale, di far morire Butterfly per mezzo del Seppuku (rituale di suicidio in uso tra i samurai che prevedeva di auto-infliggersi una profonda ferita all’addome per poi ricevere il colpo finale tramite decapitazione da parte di un fidato compagno, ed in questo caso la servente Suzuki) anziché per mezzo del suo corrispondente femminile Jigai, il quale prevedeva di auto-infliggersi una ferita direttamente al collo, senza l’aiuto finale di un terzo.

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Passando al versante musicale, la direzione è stata affidata a Daniel Oren, il quale, con enorme successo personale, è tornato sul podio torinese dopo un’assenza che durava dall’ormai lontana Bohème del centenario (estate ’95) con protagonisti Mirella Freni, Luciano Pavarotti e Nicolai Ghiaurov.
Il maestro israeliano, particolarmente conosciuto ed apprezzato per i suoi lavori pucciniani, ha saputo rendere al meglio la complessa e raffinata partitura, tenendo sempre viva la tensione, ma non per questo escludendo la dolcezza e l’intimità richiesta, facendo saggio uso di dinamiche e caricando di emozione attraverso l’impiego imponente, ma mai eccessivo, delle percussioni; il tutto senza trascurare l’importante equilibrio tra la mole di suono che sgorgava meravigliosa dall’Orchestra del Teatro Regio di Torino, e le voci che correvano dal palcoscenico verso la sala.

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©Edoardo Piva

Il ruolo della giovane protagonista, Cio Cio-San, è stato interpretato dal soprano sloveno Rebeka Lokar. Già apprezzatissima Turandot lo scorso anno sempre al Regio, raccoglie ora un altro importante successo, riuscendo a convincere il pubblico torinese per una cura nel fraseggio e nell’utilizzo delle dinamiche, già riscontrato nel ruolo della Principessa di gelo ed assai raro in voci così grandi e potenti, che permette di dar vita ad un personaggio dolce e deciso, materno e fanciullo. Vocalmente, oltre ad uno strumento imponente, la Lokar si pregia di acuti sempre centrati, che riesce a portare senza alcuna apparente difficoltà al pianissimo.

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©Edoardo Piva

Il Tenente della Marina degli Stati Uniti d’America, Benjamin Franklin Pinkerton, è stato interpretato dal giovane Murat Karahan. Il tenore turco convince per una voce potente e dal bellissimo timbro scuro, sicura negli acuti, e timbrata nelle gravi; può inoltre contare su una notevole presenza scenica, (fatto di non poco conto accanto ad una donna alta come la Lokar) mentre risulta un po’ piatto dal punto di vista dell’arduo fraseggio pucciniano, ma visti i mezzi e la giovane età si potrà certamente contare su un miglioramento per quanto riguarda quest’ultimo aspetto.

Il console degli U.S.A. a Nagasaki, Sharpless, è stato interpretato da Simone Del Savio.
Il baritono piemontese si è distinto per una notevole eleganza nel timbro e nell’emissione, eleganza ritrova altrettanto nell’interpretazione scenica, in cui traspariva con maggiore accento il lato umano e pietoso nei confronti di Butterfly e del suo triste destino.

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©Edoardo Piva

Ottima sia vocalmente che scenicamente la performance del mezzosoprano georgiano Sofia Koberidze, nel fondamentale ruolo di Suzuki, della quale si è apprezzato il bel smalto di voce, e la perfezione con cui si fondeva assieme a quella della protagonista.

Soddisfacenti, ma nulla di più, le numerose parti di fianco, a cominciare dal Goro di Luca Casalin e proseguendo con lo Yamadori di Paolo Maria Orecchia, lo zio Bonzo di In-Sung Sim, il commissario di Marco Tognozzi, la Kate Pinkerton di Roberta Garelli, lo zio Yakusidé di Franco Rizzo, l’ufficiale del registro di Giuseppe Capoferri, la madre di Butterfly Claudia De Pian, la zia Rita La Vecchia, la cugina Ashley Milanese ed il figlio di Butterfly Dolore, Sofia La Cara.

Pregevole la prestazione del Coro del Teatro Regio, in particolare nel celebre e toccante coro a bocca chiusa.

Alla fine della serata, il pubblico di una sala piacevolmente gremita ha tributato numerosi e lunghi applausi a tutti i protagonisti ed in particolar modo al soprano Rebeka Lokar ed al Maestro Daniel Oren.

Stefano Gazzera

Torino, 19 gennaio 2019

 

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