In occasione di Un ballo in maschera al Teatro San Carlo dal 22 al 28 febbraio, abbiamo avuto il piacere di intervistare il tenore Celso Albelo, tra i più grandi del panorama lirico attuale. Ci siamo confrontati con lui sul suo prossimo debutto al Massimo napoletano nel ruolo di Riccardo (Gustavo nella versione svedese che andrà in scena a Napoli, ndr), e su altri temi molto cari all’artista: l’importanza dell’esperienza, del prendersi tempo tra le diverse recite e della famiglia. Una chiacchierata a 360°, che ci ha permesso di scoprire ancora una volta (qui per leggere la nostra precedente intevista) un artista dalle grandi capacità, ma soprattutto dalla grande sensibilità e dalla contagiosa simpatia…
Fra poco ci sarà il tuo debutto come Riccardo/Gustavo in Un ballo in maschera, un ruolo che segna una svolta nella tua carriera lirica senza però mai abbandonare il Belcanto italiano: come ti sei preparato per questo ruolo?
Quando ho iniziato a leggere lo spartito di Un ballo in maschera, ho realizzato che i colori, i piani, i forti che avevo già incontrato in passato con Verdi, erano di nuovo presenti. Queste sono dinamiche che si incontrano in Verdi più che in altri come Donizetti, ad esempio. Riccardo è un aristocratico, un conte, un nobile che, però, a differenza di Rigoletto è amato dalla sua gente. Certo, è un ruolo dalla vocalità lirica piena, ma al contempo colorata. Dobbiamo cominciare a guardare oltre il pregiudizio di pesantezza vocale attribuita a Verdi: il peso vocale c’è, ma troviamo anche tanta duttilità e colori.

Come studi di solito un nuovo ruolo?
C’è sempre un periodo di riflessione sullo spartito, per me è un dovere. Si tratta però di un approfondimento dinamico: ad esempio, Un ballo in maschera lo conosco da sempre, dai miei debutti, anche se non lo capivo come oggi. La musica si impara in una settimana, il problema è il personaggio, che cresce con te. Poi, ogni regista e ogni direttore ti insegna sempre qualcosa. Penso sia importante non fossilizzarsi sulle proprie idee, ma essere sempre aperti ai commenti.
Hai trovato difficoltà nell’interpretare Riccardo e affinità con gli altri ruoli del tuo
repertorio?
In realtà, sin dall’inizio della mia carriera penso di aver intrapreso un percorso che mi ha avvicinato in maniera naturale a Verdi, quindi non ho mai trovato particolari difficoltà nell’interpretare i suoi ruoli. Le affinità con gli altri personaggi le trovi, soprattutto perché in Verdi, ad esempio, c’è tanto Donizetti.

Quali sono le emozioni di ritrovarsi in uno dei teatri più belli al mondo?
Il San Carlo è un teatro importante, fa parte della storia dell’opera mondiale e debuttare qui è un grande onore. Poi, quest’esperienza mi permetterà di comprendere meglio Riccardo, così da portare a casa un personaggio diverso sì, ma certamente migliore.
L’ultima volta al Teatro San Carlo (per Rigoletto nel 2013, ndr) hai lavorato con Dimitri Hvorostovsky, venuto purtroppo a mancare da poco più di un anno. Un suo ricordo?
Dimitri era una persona molto divertente, dal sorriso contagioso!

Da poco hai debuttato anche nel Requiem di Verdi. Come hai trovato quest’esperienza?
È stata un’esperienza diversa, soprattutto per il modo, piuttosto diretto, in cui Verdi sembra parlare con il divino. È interessante, Verdi è molto latino in questo! In Brahms, ad esempio, il rapporto con il divino è più mistico.
Come riesci a conciliare le differenze tecniche e vocali tra il repertorio italiano e quello francese?
Per me ciò che conta è studiare tanto e non accavallare i tempi, concedermi un periodo di transizione che possa darmi la possibilità di passare dall’italiano al francese. Ad esempio, poiché dopo Un ballo in maschera avrò l’Hamlet di Thomas, ho bisogno di tempo, una settimana di assestamento in cui vedo, ricordo, riposo. Poi non possiamo dimenticare la “parte” familiare: quando stai bene in famiglia, lavori meglio. Devi trovare un equilibrio tra la vita privata e quella lavorativa.

Ti piacerebbe continuare sulla “scia” verdiana oppure c’è un ruolo particolare che vorresti sperimentare?
Sai, dieci anni fa mi fecero la stessa domanda, e la mia risposta fu Un ballo in maschera.
Però ero titubante, ritenevo che le mie condizioni vocali non fossero ancora pronte per
Riccardo. Ora guarda, sono al San Carlo proprio per quest’opera! Facciamo che ti rispondo tra una decina di minuti, voglio pensarci…
Ad aprile 2019 sarai Lord Riccardo Percy in Anna Bolena, un altro ruolo svolta per la carriera di un tenore e soprattutto uno dei più acuti. Come pensi di bilanciare in futuro le due anime lirico e del Belcanto “estremo”?
Sai, una vocalità lirica può avere delle note estreme. Nel caso di Anna Bolena canta solo chi ha una certa esperienza alle spalle e salite che io, fortunatamente, posseggo ancora.

A luglio 2019 sarai anche Arnould nel Guillaume Tell al Choregies d’Orange Theatre
Antique: quali sono le aspettative e i timori nell’affrontare un ruolo così impegnativo, soprattutto in un teatro all’aperto?
Ho già cantato in questo teatro, ma ogni volta è diverso. I primi giorni ti senti quasi nudo ma è una questione di abitudine e anche di acustica. All’inizio infatti spingo tanto perché mi chiedo se il pubblico riuscirà a sentirmi, ma quando comincio ad abituarti, prendo fiducia e va meglio.
I tuoi prossimi impegni?
Nel 2019 mi aspetta Rigoletto al Palau de les Arts Reina Sofía di Valencia e anche in
Giappone. Inoltre, ho in cantiere un progetto molto interessante a Londra per un CD con
Opera Rara: si tratta del recupero de Il paria di Donizetti, una registrazione di cui sono
molto contento. Rispondo ora alla tua domanda su un’opera che vorrei cantare in futuro, ma che non canterò mai: “La Forza del destino”, la adoro!
Grazie a Celso Albelo e In bocca al lupo!
Pia Lombardi