Al Costanzi dal 20 febbraio sino al 1 marzo è in scena Anna Bolena, capolavoro donizettiano mancante a Roma da circa 40 anni, il quale inoltre era stato proposto solo due volte in due produzioni in cui il ruolo di Anna era stato ricoperto da due delle maggiori stelle della lirica del secolo scorso, Leyla Gencer e Katia Ricciarelli. Date queste premesse non ha stupito il fermento che questa nuova produzione, ha generato.

La direzione è stata affidata al Maestro Frizza, direttore musicale del Donizetti Festival di Bergamo, il quale ha proposto la versione integrale dell’opera, senza perciò alcun taglio, né di scena, né di ripetizioni musicali. Sin dalla sinfonia iniziale, il maestro ha diretto l’orchestra del Teatro dell’Opera magistralmente, facendo emergere i giusti colori e soprattutto mantenendo una morbidezza costante nell’emissione che culminava in forte nelle grandi scene e nei concertati, non a caso a fine recita, ci si riferisce alla recita del 23 febbraio, è stato omaggiato da numerose ovazioni.

La regia dello spettacolo è stata affidata a Andrea De Rosa, il quale aveva curato nella stagione 16/17’ la regia di Maria Stuarda, e collocando questo spettacolo in una sorta di continuità col precedente. Nella sua totalità lo spettacolo è gradevole, sebbene più interessante nel secondo atto rispetto al primo, il quale risulta statico. Le scene di Luigi Ferrigno, da un’idea di Sergio Tramonti, e le luci di Enrico Bagnoli, mantengono le tinte fosche che erano presenti anche nella Stuarda del 2016, fornendo sempre immagini interessanti, come le grandi pareti della gabbia, sospese per tutto il primo atto, che imprigioneranno Anna nel concertato finale “Giudici ad Anna”. In questi luoghi a-temporali e a-spaziali realizzati dal regista, spiccano i ricchi e splendidi costumi di Ursula Patzak. Ma i veri trionfatori della serata sono stati gli interpreti che compongono un cast di eccellenza.

Anna Bolena è stata interpretata dalla stella internazionale Maria Agresta, debuttante nel ruolo. Ciò che ci si domanda alla fine della recita è come mai non abbia affrontato prima questo ruolo a lei molto congeniale. La lettura personale che l’artista fa del personaggio va a valorizzare una linea vocale purissima, che rende le scene più liriche un terreno fertile per la vocalità della soprano italiana che per la morbidezza, il gusto e la bellezza del timbro può a buon titolo collocarsi vicino alle maggiori interpreti del ruolo.

Accanto ad Anna, la donna del passato, nella corte inglese, Carmela Remigio veste i panni di Giovanna Seymour, la donna del futuro. La Giovanna della Remigio è un personaggio scalpitante nella corte, ma umanissima nella sua relazione con Anna, ciò che colpisce è l’attenzione alla parola e agli accenti, oltre che una presenza scenica invidiabile, anche da sola l’artista è infatti in grado di riempire il teatro, e di tenere un filo diretto col pubblico. Non una sola frase musicale è pronunciata casualmente, tutto è pensato e costruito, e questa caratteristica rende le scene e i recitativi della Remigio indimenticabili. Se drammaturgicamente i nodi nevralgici dell’opera sono i duetti fra le due regine, anche vocalmente diventano i momenti di maggior pathos, le due vocalità infatti, dell’Agresta e della Remigio si sposano perfettamente, dimostrando cosa voglia dire cantare Belcanto.

A chiudere il triangolo reale vi è Alex Esposito, interpretante Enrico VIII, la lettura che l’artista fa del personaggio è machiavellica, il suo Enrico è astuto, intelligente, affascinante e crudele, forse anche troppo. È facilmente osservabile come solo la sua vocalità e la sua presenza scenica possano non sfigurare insieme a due protagoniste come Carmela Remigio e Maria Agresta.

Ad interpretare l’impervio ruolo di Percy vi era Giulio Pelligra, in sostituzione di Renè Barbera indisposto, la sua vocalità è freschissima, timbro e squillo sono magnifici. Il tenore ha ben retto il difficile ruolo, pensato da Donizetti per il famoso tenore Giovanni Battista Rubini, sebbene con qualche incertezza nel primo atto in cui gli acuti estremi risultavano un po’ fissi.

Lo Smeton di Martina Belli è dolcissimo, ciò che la cantante dipinge con la sua vocalità calda, ma molto voluminosa, è veramente un giovinetto perdutamente innamorato della sua regina. Sir Hervey è stato interpretato da Nicola Pamio, autorevole nella sua interpretazione. Infine Lord Rochefort è stato interpretato da Andrii Ganchuk, proveniente dal programma del Teatro dell’Opera “Fabbrica”, il quale spicca per volume e presenza scenica. Altro protagonista è stato il Coro del Teatro dell’Opera di Roma, saggiamente preparato dal maestro Roberto Gabbiani. La serata si è ovviamente conclusa in un successo enorme, per i cantanti e per il Teatro che con un titolo di rara esecuzione, in nuova produzione, continua la sua attenzione per il repertorio belcantista.
Paolo Mascari
Roma, 23 febbraio 2019
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