La seconda opera buffa, composta da Gaetano Donizetti, più conosciuta e rappresentata dopo l’Elisir d’amore, segna anche l’ultimo sconfinamento in territorio non drammatico del compositore bergamasco, il quale, forte dei suoi precedenti lavori comici, esalta fortemente le maschere, ispirandosi per i caratteri che compongono l’opera alla Commedia dell’arte.

In questa nuova produzione della Scottish Opera, è emersa la volontà di far emergere proprio quest’ultimo aspetto in maniera più moderna: il regista Renaud Doucet ha infatti trasposto l’azione scenica in una stereotipata Roma degli anni sessanta, facendo emergere maggiormente il “dramma” del conflitto generazionale.
Le scene, così come i costumi, firmati entrambi da André Barbe, ricreano ottimamente l’atmosfera di una città eterna decaduta, o quanto meno non nel suo periodo di massimo splendore; sul palcoscenico viene raffigurata con semplicità un’ipotetica vecchia e fatiscente pensione gestita dal protagonista, disseminata di oggetti e statuine a rappresentare l’amore di Don Pasquale per i gatti, funestato da una tremenda allergia proprio per il tanto amato felino. Con il matrimonio tra Norina/Sofronia la pensione cambierà volto rinnovandosi nell’arredamento e nel personale, ad indicare le manie dissipatrici e spendaccione di Sofronia.
L’impianto scenico e la trasposizione temporale risultano dunque vincenti, così come le interessanti luci di Guy Simard. Ciò che lascia spazio a più dubbi sono le proiezioni a modo di fotoromanzo, durante la sinfonia, che riescono sì nell’intento di fungere da note di regia, ma risultano lente e di fatto inconcludenti.

Sul versante musicale non ha particolarmente entusiasmato la direzione del Maestro Alvise Casellati, il quale ha sì condotto con sicurezza e precisione l’Orchestra del Teatro Carlo Felice, ma ha mancato di quell’aspetto più emotivo nell’emissione del suono ed ancor più sono emersi alcuni problemi di tempo tra il palcoscenico e il golfo mistico.
Per quanto riguarda i cantanti, in generale, è emerso un andamento via via più positivo nel corso della serata, a cominciare dal protagonista Giovanni Romeo, previsto inizialmente solo nel secondo cast, ma subentrato ad un indisposto Kristopher Irmiter, a sua volta subentrato a Erwin Schrott. Romeo ha saputo farsi apprezzare non solo per delle spiccate qualità attoriali, ma anche per un’attenta cura nei movimenti che gli hanno consentito di dar vita ad un Don Pasquale assolutamente buffo, ma mai volgare o esagerato. Vocalmente il basso-baritono si è fatto apprezzare per un piacevole timbro e per un ottimo declamato.

Performance mano a mano crescente anche per il baritono Elia Fabbian nel ruolo del Dottor Malatesta, il quale nonostante un’emissione non sempre pulita e chiara all’inizio dello spettacolo, si è poi rapidamente ripreso convincendo il pubblico per una voce potente e salda ed un fraseggio curato.
Note positive per la Norina di Desirée Rancatore. Il soprano palermitano sa senza alcun dubbio come porsi in scena con maestria, riuscendo ad attrarre gli sguardi, ed in ciò viene aiutata da un’ottima capacità di porgere la parola. Vocalmente la Rancatore risulta salda e sicura negli acuti, riuscendo con sicurezza a disegnare un personaggio convincente.

L’Ernesto di Juan Francisco Gatell è un ragazzo giovane e spavaldo assolutamente in linea con l’idea registica; vocalmente il timbro chiaro e squillante risuona in tutta la sala senza alcuna apparente difficoltà, nonostante due piccole incertezze che non compromettono comunque il risultato complessivo.
Corretto sia scenicamente sia vocalmente il Notaro di Roberto Conti.
Ottimo il coro del Carlo Felice, diretto dal Maestro Francesco Aliberti.
Cortesi applausi hanno salutato gli artisti a fine serata.
Stefano Gazzera
Genova, 8 marzo 2019