Falstaff è un ruolo che ogni baritono ha il desiderio di affrontare e soprattutto di vivere. L’ultima grande creatura di Verdi non ha bisogno soltanto di cantante, ma di una grande personalità che riesca a cogliere ogni più intima piega di questo carattere. Misha Kiria sembra possedere tutte queste caratteristiche, grazie alla naturale verve scenica e alla grande personalità vocale. In questi giorni il giovane baritono georgiano debutterà con questo personaggio al Teatro Real di Madrid e proprio in occasione di questo suo primo incontro con il pubblico spagnolo abbiamo avuto il grande piacere di intervistarlo.
Com’è nato il tuo amore per il canto?
Negli anni ’90 in cui c’era la guerra in Georgia non avevamo luce, gas, e tante altre cose: la luce arrivava solamente alle 04:00 del mattino, per un’ora, ed era una gioia per noi, perché era l’unica possibilità in cui potevamo mangiare del cibo caldo, e guardare la tv per un’ora. Noi a casa avevamo il satellite e il mio papà registrava sul videoregistratore alcuni concerti dei Tre tenori, (anche adesso ho in casa queste cassette) e in quel momento quando non c’era niente di bello nella nostra vita, è entrata la luce della lirica nel mio cuore, avevo solo 4-5 anni.

La Georgia è una terra di grandi voci: qual è il segreto della vostra scuola di canto e come ti spieghi la numerosissima presenza di artisti georgiani oggi sui palcoscenici del mondo?
Noi georgiani abbiamo un repertorio polifonico molto antico, migliaia di anni fa i nostri antenati quando andavano in guerra cantavano questi canzoni, che anche oggi continuano ad essere cantate; i contadini quando lavoravano sulla terra cantavano, quando c’era un matrimonio cantavano, quando qualcuno moriva cantavano….Noi come paese eravamo in mezzo tra l’Impero Russo e l’Impero Ottomano, tutti e due volevano la nostra terra, e possiamo dire che in gran parte ci ha salvato la nostra cultura, e soprattutto il canto, la polifonia, e i testi eroici di quelle musiche. Quasi tutti i georgiani cantano a casa, con i genitori, i nonni , bisnonni le canzoni antiche ed è così che sono state tramandate fino a noi, e per questo noi tutti abbiamo come base di noi stessi e del nostro animo il canto. Il teatro a Tbilisi è stato aperto nel 1851, con una “Lucia di Lammermoor”. Si ricorda sempre che nel nostro teatro ha cominciato la sua carriera Feodor Chaliapin, che ha cantato il suo primo Mefistofele nel Faust. Ha cantato Tita Ruffo dal 1905 al 1907, e lui descrive questo periodo nel suo libro come “la mia parabola”. Noi georgiani siamo fieri di tutto ciò e con questo ci sentiamo molto vicini alla cultura e all’opera italiana.

Ti sei formato all’Accademia della Scala: raccontaci quest’esperienza e quali sono stati gli insegnanti che ti hanno segnato più profondamente?
Ebbene sì, io ho avuto la fortuna di studiare all’Accademia della Scala. Posso innanzitutto dire che è stata un’esperienza indimenticabile, in quel periodo non ero abituato a questo ritmo di vita, e a lavorare ogni giorno. Ammetto che è stato pesante all’inizio , in quel periodo pensavo che non era giusto cantare ogni giorno, fare 2-3 lezioni, ma credetemi mi ha formato tanto; in quel periodo ho vissuto tante belle cose: ho cominciato a lavorare su me stesso, ho iniziato a capire cosa fosse interpretare e non solo eseguire un brano. Ho avuto i più grandi maestri, come Renato Bruson, Luciana Serra, Luigi Alva, Luciana Dintino, Mirella Freni, Vincenzo Scalera, Umberto Finazzi, James Vaughan, Michele D’Elia, Paolo Spadaro, Nelson Calzi, Katia Bortoletto, Tiziana Colombo, Marco Borroni, con il quale ho studiato lo stesso Falstaff e attualmente studio nuove cose. Tutti mi hanno dato il meglio che potessi ricevere e che mi è servito e mi servirà sempre per la mia vita artistica. In questa intervista mi permetto, se posso, di ringraziarli tutti di vero cuore.

Falstaff è diventato rapidamente il tuo cavallo di battaglia: quali sono le difficoltà di questo ruolo?
Falstaff credo sia il ruolo che sta sopra tutti gli altri, dove non basta cantare ma devi essere il personaggio. Prima di tutto è importante che la voce giochi molto tra i fortissimi e pianissimi per creare questo carattere. Quest’uomo ha tante sfumature nel suo essere: la maturità, la gioventù, la nostalgia, la speranza, l’eros, la frustrazione, la paura, in diversi momenti dell’opera o a volte anche insieme. Se manca uno di questi elementi, diventa già qualcos’altro. Certamente, la precisione del capire e pronunciare il testo è fondamentale e molto difficile anche per gli italiani. Boito ha creato un vero capolavoro perfetto e complesso allo stesso tempo. Io, come straniero, ho studiato tanto, e anche adesso studio cose nuove che ogni giorno scopro in quest’opera divina. L’ho studiato tanto con il maestro Bruson, e dopo nel 2015 ho vissuto una settimana a Ravenna, dove con il grande Riccardo Muti e l’Italian Opera Academy ho assistito alle prove di Falstaff, che il maestro faceva con vari direttori d’ orchestra e cantanti. È stata una grande esperienza anche solo poter osservare ed ascoltare gl’insegnamenti del maestro: a volte si impara più ascoltando che facendo.
Sir John è l’emblema dell’uomo maturo e della decadenza: quale vantaggio dà la giovinezza nell’interpretare questo ruolo?
Bella domanda! Quando studiavo a Milano, ho vissuto 3 anni a Casa Verdi, ho conosciuto persone straordinarie, ogni giorno avevo la possibilità di cenare e parlare con musicisti anziani. Mi raccontavano della loro vita, vedevo nei loro occhi quello che ho detto sopra: maturità, gioventù, nostalgia, speranza, frustrazione, paura. Vedevo come camminavano, e quello che mi donavano. Credo che il vantaggio sia che con la mia energia di ragazzo giovane posso prendere questi insegnamenti e farne uso trasformando la mia giovinezza in questo personaggio e in tutto quello che Falstaff deve mostrare: una tavolozza di colori di una grande personalità.

Falstaff segnerà il tuo debutto al Teatro Real di Madrid: quali sono le emozioni di questa produzione?
Questo mio Falstaff qui a Madrid non solo sarà il mio house debut in questo fantastico teatro, ma anche il mio debutto in assoluto qui in Spagna. È una grande gioia essere qui a Madrid, con dei bravissimi colleghi, maestri e tutto lo staff che forma un ambiente meraviglioso, piacevole e sereno. Mi sento molto fortunato e ancor più per il mio ritorno in Spagna in due produzioni nel 2020/2021 in un altro teatro e anche se non posso dire dove (finché non annunceranno la stagione) io posso iniziare a gioirne.

In quest’occasione lavorerai con Laurent Pelly, uno dei più geniali registi di oggi: come costruisci questo personaggio dal punto di vista teatrale?
Laurent Pelly non solo è un regista geniale, ma una personalità squisita che rispetta noi cantanti. Con lui ho potuto lavorare sul personaggio profondamente e in maniera molto innovativa e ho potuto costruire una comicità in parte nuova per la mia visione, ma molto precisa, per questo Falstaff. Si tratta di una comicità molto pulita e squadrata che permette di dare un certo stile di eleganza, aprendo una nuova visone di questo capolavoro.

Nella prossima stagione debutterai Fra Melitone, un altro ruolo verdiano più “leggero”: quali sono i tratti in comune tra questi due personaggi (penso al loro cinismo)
Sì, a settembre di 2019 debutterò come Fra Melitone alla Deutsche Oper di Berlino. Fra Melitone è un personaggio comico e non comico, prima di Verdi non troviamo mai un personaggio simile, è del tutto una nuova creazione. Quando ho cominciato studiare la parte di Fra Melitone cercavo informazioni proprio per creare il personaggio e ho trovato un libro dove si mettono a confronto un po’ questi due personaggi: è il libro del Maestro Muti “Verdi, l’italiano” dove ho letto queste parole d’ro: “Melitone non è un comprimario, è già Falstaff, per il modo in cui il ruolo è scritto e per quello che il personaggio dice. C’è lo stesso senso di ironia, tristezza, collera, sofferenza. Melitone è solitamente rappresentato come un bufone, ma in lui si percepisce la stessa amarezza nei confronti del mondo che si ritroverà in Falstaff”. Condivido appieno le sagge parole del Maestro.

Hai interpretato qualche anno fa anche il Cavaliere di Belfiore in “Un giorno di regno”: come vedi collegati questi due (unici) titoli buffi della produzione verdiana?
Quando Verdi ha cominciato lavorare sul Finto Stanislao (Un Giorno di Regno), attraversava un periodo molto pesante: erano morti la sua prima moglie e i due figli, il destino lo stava trattando male, ma lui continuava a lavorare su questa opera. Credo sia stato per lui come un modo per andare contro il suo stesso destino, come dice in Falstaff “Va’ vecchio John, va’ per la tua via”. Noi dobbiamo sempre andare avanti, perché la vita continua, va avanti e noi dobbiamo fare del nostro meglio, anche se a volte essa si burla di noi.
Prossimi impegni.
I miei prossimi Impegni sono il mio ritorno alla Deutsche Opera di Berlino con il debutto del ruolo di Fra Melitone, i miei house debuts al Festival di Glyndebourne nel ruolo di Dulcamara e al Palm Beach Opera nel ruolo di Bartolo e ovviamente una serie di impegni di cui preferisco non parlare ancora per scaramanzia!
Grazie a Misha Kiria e In bocca al lupo!
Francesco Lodola