Il 21 giugno all’Arena di Verona (e in diretta su Rai1) una grande inaugurazione: La Traviata, nell’allestimento di Franco Zeffirelli, l’ultima grande opera del geniale artista fiorentino. Sul palcoscenico una grande protagonista: Aleksandra Kurzak, soprano tra i più richiesti a livello internazionale, stella sui maggiori palcoscenici del mondo. L’artista polacca non è nuova al palcoscenico areniano, dove ha già interpretato Rosina, Juliette, Gilda e Violetta nel Gala Verdi del 2013. Tra le prove per questa attesissima premiere abbiamo avuto il piacere di incontrarla, sul liston, davanti all’Arena, leggendaria Signora della Brà, per poter parlare con lei della sua storia, della sua Violetta e dei suoi obiettivi futuri.

Com’è nato il suo amore per il canto?
E’ nato molto naturalmente, essendo figlia di due genitori che lavoravano entrambi nel mondo del teatro d’opera: mia mamma è una cantante lirica (Jolanta Żmurko) e mio papà suonava il corno francese nell’orchestra. Dunque sono cresciuta in teatro, tra i cantanti e tra i musicisti. Quando avevo quattro anni sono andata ad accompagnare mia mamma a fare un concerto e in hotel e mentre lei provava io la imitavo in continuazione (come d’altronde fa mia figlia Malena ora, è nel nostro sangue probabilmente!). Cantavo la Regina della notte, Violetta…tutti i ruoli che cantava mia mamma. Un giorno venne questo signore a chiedere a mia mamma chi cantava con lei e mi regalò un fiore e un cioccolatino (un dono preziosissimo per l’epoca, erano gli anni ’80 e in Polonia c’era il comunismo) ed era talmente entusiasta di questa scoperta voleva registrare un disco di arie d’opera con l’orchestra cantate da me, che allora ero solo una bambina. I miei genitori erano contrari, perché non mi volevano sottoporre a tutta quella pressione, a cui spesso sono destinati i bambini prodigio. Tuttavia cominciai a studiare violino, lo strumento che mi ha accompagnato per dodici anni. Mio padre aveva tanti amici orchestrali che suonavano a Berlino ovest e che dicevano che ci sarebbe stata possibilità di lavorare lì e di fare una vita migliore. Non mi ricordo però il momento preciso in cui ho deciso che avrei fatto la cantante. Ricordo solo che facevo un concerto come violino solista con l’orchestra, come migliore allieva della scuola e feci la mia prima intervista televisiva: dissi che avrei cominciato a studiare parallelamente al violino il canto, e sei mesi dopo ho iniziato a studiare il canto, abbandonando il violino. Poi spesso dicevo che ero troppo pigra per suonare, poiché ci vogliono tantissime ore di studio quotidiane, mentre cantare era così facile. Dicevo a mia madre: voi cantanti non sapete cosa vuol dire essere musicisti! (ride)…Poi quando ho iniziato a fare questo mestiere ho capito quanto è difficile! Spesso gli studenti e gli strumentisti hanno qualche pregiudizio verso i cantanti.

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©Kasia Paskuda

Com’è stato il rapporto con sua madre nelle vesti di insegnante? È stato difficile distinguere le due figure?
Sicuramente non è stato sempre facilissimo. Il rispetto verso una madre è diverso da quello verso un’insegnante. Spesso magari ci si arrabbia con l’insegnante e poi si torna a casa e si sfoga questa rabbia con le persone che abbiamo vicine. Nel mio caso non si poteva fare, quindi sono state tante le volte in cui ho sbattuto la porta della mia camera, mia mamma se ne è andata e io sono rimasta lì a piangere, per poi chiederle scusa. E’ stato difficile anche per lei, perché prima aveva dato qualche lezione ad una collega già in carriera, ma non aveva mai avuto la possibilità di seguire una voce da zero, e quindi sentiva su di sé la responsabilità immensa di dover creare una cantante dalle basi e per di più questa cantante ero io, sua figlia. Insegnare il canto è la cosa più difficile perché fisicamente, concretamente, non si vede nulla, ma è invece più legato all’immaginazione e ad una consapevolezza fisica. Però è stato anche molto bello condividere tutto questo con mia mamma. Infine ho debuttato, esattamente vent’anni fa (nel 1999), ancora studentessa come Susanna ne “Le nozze di Figaro” all’Opera di Breslavia accanto alla Contessa di mia mamma. E’ stato incredibilmente emozionante: noi sul palco a cantare e mio padre in sala a guardarci. Mia mamma era talmente tesa che al momento di pronunciare il verso “Vieni, cara Susanna: finiscimi l’istoria” ha perso il controllo della sua voce, io l’ho guardata, e fra i denti ho detto “Mamma!” e lei mi ha capito in questo momento di non preoccuparsi più di me.

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Veniamo a Violetta, che è diventato possiamo dire un suo cavallo di battaglia…
Non lo so se è esattamente così. Devo dire che non è un ruolo che ho fatto moltissimo, alla fine ho cantato solo in quattro produzioni della Traviata…ci sono cantanti che ne hanno fatte molte di più. Solo dopo l’ultima edizione che ho fatto a Parigi nell’ottobre 2018, ho pensato che forse Violetta può essere il mio cavallo di battaglia. E’ stata una bellissima esperienza e mi sento ora completamente nel personaggio. Ho debuttato questo ruolo nel 2010, quindi sono già passati dieci anni, nel frattempo è nata mia figlia e la mia vocalità è sicuramente cambiata dopo il parto, acquisendo più rotondità, pur mantenendo l’agilità e gli acuti. Penso che forse proprio per questo a Parigi questa Traviata è andata molto bene. Spesso si dice che per cantare Violetta siano necessarie tre voci diverse: non penso sia così, ma credo invece che ci vogliano tantissime caratteristiche e abilità tecniche per eseguire tutto quello che Verdi esige. Sono orgogliosa di poter dare voce a questo personaggio e sono felice di cantarla qui, all’Arena di Verona e nella prossima stagione al Metropolitan e al Covent Garden. Sarà una stagione piena di Violette che parte proprio da Verona.

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©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

Umanamente cosa pensa di questo personaggio?
Devo premettere che io non vedo in Germont una persona cattiva o comunque negativa, ma credo che per quei tempi fosse assolutamente un comportamento normale, anzi penso che anche oggi un padre potrebbe avere la stessa reazione se il proprio figlio si frequentasse con una donna della strada…Violetta oggi sarebbe questo. Lei è una povera ragazza che si è ritrovata in questa situazione per sfuggire alla miseria. E’ una persona buona che decide volontariamente di compiere questo sacrificio d’amore. Avrebbe potuto benissimo ignorare quello che Germont le chiede e andare avanti con la sua vita. E’ una persona dal grande cuore ed è anche molto religiosa: tante volte nell’opera si rivolge a Dio e gli chiede di essere aiutata e confortata. Compie questo sacrificio anche per pulire la sua anima e salvarsi. Penso che questo aspetto non sia assolutamente da trascurare nell’interpretazione del personaggio.

2013 La Traviata atto I Kurzak 17 07 dl foto Ennevi 110
©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

Quali sono le gioie e le attese di essere Violetta nell’ultima produzione di Franco Zeffirelli?
E’ un sogno e un onore! Non posso aggiungere nient’altro. Penso che noi amanti dell’opera siamo cresciuti e ci siamo innamorati guardando quello straordinario film della Traviata con Teresa Stratas e Placido Domingo. Trovarsi dentro uno spettacolo del genere è davvero una favola ed è ideale cantare Violetta tra queste scene. Ho fatto Traviata anche in produzione moderne, come quella del mio debutto (in cui Violetta era sullo stile di Dita von Teese), ma non credo funzioni molto. L’incontro con Germont perde la sua forza così come il sacrificio di Violetta. Credo che Traviata sia una delle opere più difficili da trasporre in epoca contemporanea. Noi cantanti siamo sempre felici quando possiamo cantare in una produzione come questa dell’Arena, indossando questi bellissimi costumi e godere di questa bellezza, non vedendo l’ora di essere sul palcoscenico. Non è neanche corretto dire che si fanno gli spettacoli moderni per avvicinare un pubblico giovane perché non è vero. Più che altro si dovrebbero educare i ragazzi fin da bambini all’ascolto della musica classica e dell’opera, portandoli a vedere le produzione che ormai molti teatri mettono in scena proprio per loro. Penso spesso ai film di Hollywood come Troy o come il più recente La Favorita, film in costume che riempiono le sale di giovani. Lo stesso è nell’opera lirica: vogliamo sognare, vogliamo entrare dentro un’altra dimensione! E’ noioso vedere o fare degli spettacoli grigi, tutti uguali. Spesso vengono accusate le produzioni tradizionali di essere kitsch, ma esiste in verità anche un kitsch moderno. Sono, e lo ripeterò ancora tante e tante volte, felice di essere Violetta in questo allestimento straordinario.

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In Arena lei è stata Rosina, Juliette e Gilda, oltre che Violetta nel Gala Verdi del 2013: quali sono le emozioni e le difficoltà di cantare in questo luogo?
Non so se ci siano davvero delle difficoltà perché qui si canta assolutamente bene. Non so come la mia voce arrivi fino all’ultimo gradone, ma la percezione da parte di noi cantanti è di una grande comodità anche nel ritorno della voce. Ci sono tanti teatri tradizionali, al coperto, che hanno delle acustiche peggiori. Qui non ci si deve sforzare per cantare. In questa scenografia di Traviata abbiamo una grande parete alle nostre spalle che ci aiuta ulteriormente. Trovo che l’Arena sia un posto totalmente magico, continuo a postare sui social immagini di questo luogo perché ne sono fatalmente innamorata, ma non solo dell’Arena, dell’intera città, tanto che ho chiamato mio marito Roberto e gli ho proposto di venire a vivere qui! (ride) In questi giorni, quando esco da casa, sorrido, perché sono felicissima di essere qui. Non lo dico per essere gentile, penso davvero che Verona sia una città straordinaria. C’è una bella atmosfera camminando per le vie, la gente è sempre ben vestita…è una città che mi dà serenità. L’Italia in generale è il paese della bellezza, dove si cura l’estetica dei luoghi, dei vestiti, del mangiare….un paese meraviglioso.

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©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

Tornando al canto, c’è un ruolo in particolare che ti piacerebbe cantare qui in Arena?
Non uno solo, tantissimi! Ho appena debuttato Madama Butterfly ed è un’opera che ho visto per la prima volta proprio all’Arena nel 1997, quando avevo vent’anni. Sono venuta in Italia con quattro mie compagne di studi di canto, a Rimini e nel campeggio dove eravamo ci chiamavano “le Spice Girls” perché cantavamo in continuazione (ride). Una sera decidemmo di venire a Verona per andare a vedere l’opera in Arena e capitammo nella serata di addio di Raina Kabaivanska al ruolo di Cio Cio-San. Ricordo che eravamo sedute sul lato del palco un signore dall’orchestra ci portò dei cuscini per noi “Spice”, ma ricordo soprattutto le emozioni e di aver pensato: chissà se un giorno canterò qui!

Lei è una cantante legata al mondo dei media e ai social: quanto è importante questo nella nostra epoca?
Penso sia molto importante, i tempi sono cambiati. Prima era necessario avere un website sempre aggiornato, oggi per vedere quello che stai facendo il pubblico ti cerca su Facebook o su Instagram, dove può avere un contatto diretto con te. Viviamo in un mondo fatto di immagini più che di parole. E’ un fenomeno che ha i suoi lati negativi, ma anche positivi. La tecnologia ci aiuta anche a stare più vicini a coloro a cui vogliamo bene, che per noi che stiamo sempre lontani da casa e spesso soli, è davvero una cosa importante. Mi piace raccontare al pubblico qualcosa di me, ovviamente ognuno sa quali sono le cose che preferisce non mostrare e tenere private.

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©Kasia Spakuda

Ruoli dei sogni?
Tosca e Butterfly sono sempre stati i ruoli dei miei sogni. Con quest’ultima piango sempre, anche solo leggendo il libretto. Sarà difficilissimo cantarla con le lacrime. Poi da quando sono diventata mamma questo è un ruolo che mi tocca emotivamente ancora di più. Però tutti i ruoli che ho affrontato fino ad ora li ho amati. Devo dire che forse mi sentivo un po’ infelice nel passato: sono stata fin dalla nascita una “Drama Queen” (ride) e la mia voce inizialmente era da soprano di coloratura e ho cantato tante opere buffe, ma dentro di me desideravo cantare le opere tragiche, con queste grandi scene melodrammatiche. Il cambiamento è avvenuto quando ho debuttato Rachel de La Juive in sostituzione di una collega e il risultato è stato stupendo. In quel momento ho sentito dentro di me la felicità di poter cantare ruoli più drammatici e intensi. Naturalmente Violetta rimane sempre nel mio repertorio anche perché alla fine muore e io adoro morire in scena! (ride). Un altro ruolo che amo è Nedda, e non avrei mai pensato che mi avrebbe potuto dare tutte queste soddisfazioni. In quel personaggio c’è davvero tutto e sarebbe bellissimo poterlo cantare in Arena!

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©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

Come si gestisce l’emozione, il pianto, sul palcoscenico?
Questa è una cosa molto difficile ed è una capacità che si acquisisce con l’esperienza. Noi dobbiamo far piangere il pubblico senza però farci travolgere in prima persona dall’emozione. Il segreto sta nel non farsi prendere al cento per cento dalle emozioni, ma si deve lasciare una certa distanza dentro, mantenendo anche una certa freddezza. Questo perché è necessario avere un controllo assoluto su tutto quello che si fa dal punto di vista tecnico, stando attenti a tutte le difficoltà che si possono incontrare. Tuttavia non mi piace mai interpretare personaggio, ma essere quel personaggio. Per questo non mi piace quando i registi mi dicono di andare a destra o a sinistra senza sapermi dare una spiegazione. Io chiedo sempre il perché delle cose o dei gesti che mi vengono chiesti di fare. Ricordo una bella produzione di Così fan tutte con Ildebrando D’Arcangelo e Saimir Pirgu e loro alla fine mi chiamavano scherzosamente “Signora Why”.

Teatralmente come avviene per lei la costruzione di un personaggio?
Personalmente io non mi preparo mai a casa su dei possibili gesti o movimenti che potrei fare, ma seguo il mio istinto. Nelle prove di regia propongo anche io molte soluzioni e collaboro con il regista in modo da fare un lavoro insieme. Anche in occasione di questa Traviata stiamo facendo un lavoro molto bello e costruttivo. Un gesto o un movimento deve anche venire da noi interpreti, perché solo così assume su di sé un forte senso di verità.

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Ricordiamo i prossimi impegni…
Dopo il recente debutto di Butterfly e successivamente a queste recite areniane, sarò Nedda in concerto all’aperto con l’Orchestra NDR di Hannover. Subito dopo mi attendono un po’ di vacanze. La prossima stagione sarà bellissima con tanti debutti. Inizierò con il debutto nel Requiem di Verdi e l’Elisabetta in “Don Carlo” a Parigi. Poi sarà nuovamente Nedda a Berlino, Barcellona e Londra e Violetta a New York e Londra. Sarò Alice Ford anche in una nuova produzione di Falstaff a Monaco di Baviera.

Nel suo futuro c’è molto Verdi….
Verdi è un grande e quindi sono contenta che sia sempre più presente nella mia agenda. Abbiamo appena fatto a Vienna un grandissimo concerto per festeggiare i centocinquant’anni della Wiener Staatsoper ed era entusiasmante vedere quanti pezzi di Verdi ci fossero, pur non mancando anche gli altri autori. Verdi è sempre Verdi!

E del soprano verdiano cosa pensa: realtà o leggenda?
Questa domanda è molto bella perché ho anche la risposta subito pronta, ed è una risposta non mia ma di Renata Scotto in un’intervista che ho visto su YouTube qualche tempo fa: la voce verdiana non esiste. Un soprano verdiano è quello che riesce ad eseguire tutto quello che Verdi richiede: piani, forti, filati, mezzevoci. Spesso sembra quasi che non si possa prendere fiato nelle pagine verdiane ed è difficilissimo seguire tutte le indicazioni in partitura: penso a tutto il III della Traviata dove viene richiesto di cantare “debolissimo” o “sottovoce”. Il soprano verdiano è questo, esattamente come dice la signora Scotto che io ammiro profondamente come artista e come persona saggia.

Grazie ad Aleksandra Kurzak e In bocca al lupo!

Francesco Lodola

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