Se ci fossero dubbi sul genio di Franco Zeffirelli basterebbe a fugarli l’allestimento del Trovatore verdiano ripreso in questi giorni all’Arena di Verona. Le grandi strutture metalliche contrassegnate da militari insegne e i giganteschi guerrieri duellanti ai lati del palcoscenico fungono da una cornice per una storia d’amore quella di Manrico e Leonora avvolta nel mistero lunare, ma anche fiammeggiante di una luce viva e calda. È un mondo quello del Trovatore che sta nel mezzo tra il fiabesco e l’horror (termine forse esagerato, ma non del tutto inappropriato). Un capitolo a parte merita il quadro del convento, quando si apre nell’oscurità una grandiosa chiesa gotica dorata che abbaglia gli occhi e scalda di emozione il cuore. Un puro effetto teatrale alla Zeffirelli. Questo allestimento come Turandot è insostituibile.

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©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

Sfolgoranti e coloratissime le danze (coreografia di El Camborio ripresa da Lucia Real) sui ballabili scritti da Verdi per la versione francese dell’opera ed eseguite dal ballo dell’Arena di Verona coordinato da Gaetano Petrosino.
Straordinari i costumi di Raimonda Gaetano.
Questo Trovatore era soprattutto il Trovatore delle star, e su tutti di Anna Netrebko.
La Diva della lirica si è confermata in questo suo debutto veronese presenza carismatica, cantante straordinaria e interprete emozionante, oltre che attrice di magnetico fascino. Partendo dal presupposto che il ruolo di Leonora calza alla perfezione alla vocalità di altera bellezza della Netrebko, dobbiamo lodare la maestria del soprano nel creare un personaggio intensamente belcantistico, facendo sfoggio di acuti brillanti e di pianissimi di purezza perlacea. Tuttavia si è notato anche l’uso della voce di petto che molti criticano, ma che ha un effetto teatralissimo. Rapinoso è “D’amor sull’ali rosee”, ma è incredibile il passaggio dalla dolcezza dell’aria alla severità e alla durezza delle grandi frasi del Miserere. Straordinaria.

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©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

Yusif Eyvazov è un Manrico che trova i suoi momenti migliori in “Ah! sì, ben mio, coll’essere” e nel duetto finale, cantati con passionale slancio e ottima musicalità. Ne esce un protagonista di grande slancio che conquista il pubblico.

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Luca Salsi non trova nel Conte di Luna un ruolo in cui mettere in luce le sue doti di grande baritono verdiano. Risulta alla fine un personaggio sì autorevole, ma meno nobile uomo innamorato e più invece sbilanciato verso le caratteristiche del baritono “vilain”.

Netrebko
©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

Riccardo Fassi è un Ferrando di eccellente spessore, capace di sciorinare perfettamente le infide agilità del racconto della scena iniziale, “Di due figli vivea padre beato”.
Merita un paragrafo a parte la leggenda: Dolora Zajick. È vero che la vocalità del mezzosoprano comincia a sentire il peso di una lunghissima carriera, è vero che il volume parrebbe ridotto nella zona centrale…ma la Zajick è ancora un’immensa Azucena, con un carisma straordinario e una presa sul pubblico fortissima. Tutto nel suo canto, nei suoi accenti sembra reale, nato in quel momento, e questa è una dote che solo i più grandi artisti della storia possiedono e la Zajick è entrata a far parte di questi già da tantissimo tempo.

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Nei ruoli di fianco emergono Elisabetta Zizzo, una temperamentosa e partecipe Ines e Carlo Bosi (Ruiz), voce sempre proiettatissima e garanzia di qualità.
Bene anche Antonello Ceron (un messo) e Dario Giorgelè (un vecchio zingaro).
Piuttosto debole invece la direzione del Maestro Pier Giorgio Morandi, il quale pareva limitarsi ad accompagnare in modo encomiabile i cantanti, senza però particolare pathos e incisività drammatica e musicale. Tuttavia gli rendiamo il merito di aver aperto tutti i da capo delle cabalette. Gli rispondeva tuttavia molto bene l’Orchestra dell’Arena. Magnifico il coro dell’Arena di Verona diretto da Vito Lombardi.

Alla fine un grandissimo successo con i toni del trionfo per Anna Netrebko.

Francesco Lodola

Verona, 4 luglio 2019

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