Ci sono allestimenti che nascono sotto cattiva stella e le cui riprese annacquano ulteriormente il già debole risultato iniziale. È il caso della Carmen firmata da Hugo de Ana per l’Arena nel 2018 e ripresa in occasione del Festival 2019. Amiamo de Ana e i suoi spettacoli che sono sempre densi di fascino, intelligenti, grandiosi e profondi. Tuttavia questo suo spettacolo areniano non ha l’ispirazione di “Tosca” e il tocco magico de “Il Barbiere di Siviglia” o de “La Traviata”.

©️Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

L’ostacolo con cui il geniale regista argentino si è dovuto misurare è la Carmen di Zeffirelli, allestimento che ha segnato il modo di mettere in scena il capolavoro di Bizet e con il quale il paragone è ingombrante e inevitabile. De Ana cerca di dare a Carmen un volto minimalista, più scarno e intimo. Il risultato è quello di avere una Carmen senza palpiti, colori o vibrazioni, tanto da sembrare una pallida copia della messa in scena zefirelliana. Non mancano le idee felici, come quella dell’arena dei tori che apre e chiude l’opera: tuttavia rimangono idee, che non si trasformano mai in eventi drammatici. Anche i costumi dello stesso de Ana non paiono felici, soprattutto quelli di Carmen. Spente anche le coreografie di Leda Lojodice.

©️Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

Anche musicalmente la resa era abbastanza altalenante, anche se Daniel Oren non tradisce le attese, dipingendo una Carmen di forte impatto drammatico, con una direzione capace di creare autonomamente la situazione teatrale e drammaturgica. Oren è in grado di sbrogliare anche le situazioni più complicate di questa serata come alcune dimenticanze di solisti e coro e qualche attacco impreciso della banda di palcoscenico. Nonostante qualche imprecisione magnifico è il coro dell’Arena di Verona diretto da Vito Lombardi così come il coro di voci bianche A.Li.Ve. diretto da Paolo Facincani.
Tra i ruoli di fianco Italo Proferisce (Moralès) e il bravo Gianluca Breda (Zuniga). Ottimo il quartetto Remendado, Dancairo, Mercédès, Frasquita, composto da Roberto Covatta, Nicolò Ceriani (entrambi brillanti attori e cantanti), Clarissa Leonardi e la sfavillante Karen Gardeazabal.

©️Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

È parso visibilmente emozionato Martin Muehle, che ha interpretato un Don José di voce timbricamente accattivante e dal volume importante, ma non sempre irreprensibile. Tuttavia il personaggio è risultato convincente anche scenicamente.

©️Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

Ksenia Dudnikova (Carmen) possiede voce importante e interessante così come un temperamento artistico notevole che la rende interprete affascinante, tuttavia il ritratto della protagonista avrebbe necessitato di un lavoro di filigranatura più ampio e profondo sia dal punto di vista teatrale che musicale.

©️Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

Autentici mattatori della serata sono Erwin Schrott e Ruth Iniesta. Il basso-baritono uruguaiano è un vero mattatore, un istrione che grazie alle sue doti di fuoriclssse ruba la scena a tutti, interpretando un Escamillo soggiogante, volgare al punto giusto, con voce tonante, fraseggio vario e trascinante anche nei suoi effetti più caricati e talento d’attore raro.

©️Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

Ruth Iniesta è una Micaëla splendida, che conferma le preziose caratteristiche della sua vocalità di lirico puro capace di suoni cristallini, morbide oasi di canto legato e fraseggio sfumato. Il suo personaggio è un’eroina dalla femminilità delicata e commovente.
Un brillante successo per tutti coronava la serata.

Francesco Lodola

Verona, 6 luglio 2019

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