Petra Conti è una delle stelle della danza del nostro tempo, richiesta dai più grandi teatri internazionali. Nel suo percorso artistico è riuscita a portare il mondo del balletto sempre più alla portata del pubblico: Petra Conti è infatti regina incontrastata dei social, dove racconta con positività e anche divertimento la vita di una principal dancer del 2019. In questi giorni l’étoile, attualmente prima ballerina del Los Angeles Ballet, è grande protagonista all’Arena di Verona in “Aida” e ne “La Traviata”, e proprio tra le recite di questi spettacoli abbiamo avuto il piacere di intervistarla.

Com’è nato il tuo amore per la danza?
Mia mamma è stata una ballerina così come mia sorella, la quale ha dovuto smettere a diciotto anni per un gravissimo infortunio alla schiena. Diciamo che appartengo alla terza generazione di danzatrici nella mia famiglia e in casa si è sempre respirata l’aria del mondo del balletto: mia mamma ancora faceva le spaccate sulla musica di Chopin, essendo lei polacca. Ballare per me è sempre stata una cosa naturale e pensavo che tutte le famiglie fossero così! I miei genitori hanno provato a fare dell’altro: tennis, pianoforte… e anche io volevo fare tante cose: l’archeologa, la suora (ride)… però essere una ballerina è sempre stato un punto fisso, una vocazione come dico spesso io. Mia mamma me lo sconsigliava perché diceva che mi avrebbe portato pochi soldi e tanti dolori e fatiche. Io però ho deciso fermamente di seguire il suo esempio e mi sono iscritta all’Accademia Nazionale di Danza di Roma. A 11 anni mi sono quindi trasferita da Frosinone, dove vivevo con la mia famiglia, nella capitale e sono andata a vivere in collegio… un’esperienza che mi ha sicuramente fatta crescere e maturare alla svelta. Non ho tuttavia sofferto la lontananza da casa, mi sono sentita subito bene…arrivando quasi a scordarmi di chiamare i miei genitori, come successo proprio alla prima settimana di collegio (ride), tanto che la settimana successiva mi hanno regalato un cellulare!

Petra Conti International Prima Ballerina

©Joe Shalmoni

La tua mamma ha avuto un ruolo nella tua formazione di danzatrice?
No, assolutamente. Tutte le volte che ha cercato di darmi qualche consiglio io le ho detto che avevo già i miei maestri. Sono sempre stata molto autonoma. Mia mamma non mi ha mai influenzata in nessun modo, ho sempre fatto di testa mia. Penso sia un bene, perché alcune madri che sono ex ballerine sono spesso pressanti con le figlie. La mia invece è la mia più grande fan e viene vedermi ogni qual volta è possibile.
Veniamo invece all’Arena 2019 in cui sei impegnata sia in Aida che nella Traviata…parliamo del grande incontro con Susanna Egri…
Ho conosciuto la signora Egri già due anni fa, quando interpretai per la prima volta la Schiava in Aida. Tuttavia allora, essendo io nel secondo cast, non lavorammo molto insieme. Quest’anno invece ha curato moltissimo la mia preparazione, con grande attenzione e precisione per ogni minimo dettaglio. Sono felice che sia stata soddisfatta del risultato, tanto che prima della prima recita mi ha addirittura omaggiata di una bellissima dedica. Questo è stato molto prezioso per me. Inoltre, conosceva il mio maestro, Zarko Prebil, che mi ha cresciuta artisticamente e mi ha fatta diventare chi sono ora, e in lei ho rivisto qualcosa di lui: una figura autorevole, piena di energia e di forza. Questo incontro con la signora Egri mi ha davvero ispirata.

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©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

Questa Aida 1913 è poi uno spettacolo denso di storia e con un apparato coreografico imponente…
La coreografia della Schiava di Aida è molto difficile. Quello che poi è importante non è solo focalizzarsi sul tecnicismo e sull’abilità dell’esecuzione, ma soprattutto sull’artisticità. Susanna Egri mi ha spiegato che questo ruolo deve raccontare in sintesi la storia di Aida: all’inizio sei spaventata, guardinga, non sai quello che ti succederà, poi da metà coreografia circa devi invece far emergere il tuo “io”, la tua femminilità e sensualità, per poi alla fine essere la vera dominatrice del palcoscenico. La coreografia infatti si conclude con una posa vittoriosa. In effetti la stessa Aida è una schiava, ma alla fine, nonostante la morte, è una vincente, muore accanto all’uomo che ama. Egri ci tiene tantissimo nel mostrare al pubblico l’evoluzione del personaggio che interpreto in quei pochi minuti. A tutto questo si aggiungono le difficoltà del danzare in Arena: il palcoscenico è fatto di pedane in legno, e noi danzatori moderni non siamo più abituati a ballare sul legno ma sul linoleum; sul palcoscenico ci sono numerosi dislivelli, chiodi, tantissime persone, il caldo o il freddo, e quindicimila spettatori che ti guardano. È un pubblico immenso, un palcoscenico che è il triplo rispetto al solito, la scena più popolata e importante di tutta l’opera. Però, nonostante tutto, ballare in Arena è la cosa più bella del mondo! Nessun ballerino può capire l’emozione finché non ci balla. Io cerco di spiegare le sensazioni di esibirsi qui, ma non ci sono abbastanza parole.

Petra Conti International Prima Ballerina

©Joe Shalmoni/Courtesy Fondazione Arena di Verona

Quest’anno sei impegnata anche in questa Traviata che ha assunto un valore simbolico data la scomparsa del Maestro Zeffirelli…
In Traviata, appunto, sento più che altro l’emozione di questo grande tributo al genio del Maestro Zeffirelli e, prendendovi parte, sento di aver fatto la storia, in un certo senso. Un’altra grande emozione è data poi dalla bellissima coreografia creata ad hoc da Giuseppe Picone, che la balla insieme a me. Le difficoltà di questa produzione sono che io sono l’unica ballerina in punta e che il pavimento, oltre ad essere di legno, è dipinto ed è lucido, quindi ancora più scivoloso. Ad ogni modo la scena della casa di Flora è stupenda, appena si rivela la scenografia partono gli applausi del pubblico… tanto che mi piacerebbe essere dall’altra parte per poterla vedere! Poi, la prima del 21 giugno scorso è anche stata trasmessa in mondovisione e ci siamo esibiti davanti al Presidente della Repubblica: è stato bellissimo!
È sembrato quasi un artifizio registico dello stesso Zeffirelli…
Si, davvero. Siamo rimasti tutti assolutamente scioccati quando abbiamo ricevuto la notizia della scomparsa del Maestro. Quando sono stata chiamata per questa Traviata ero felicissima perché speravo di poterlo incontrare, parlargli, fare una foto con lui. Mi è dispiaciuto davvero moltissimo… però tutte queste recite le dedico a lui.
La danza come l’opera sono arti legate profondamente all’estetica e anche al culto dell’ego nella sua accezione positiva naturalmente…come si inserisce in questo il mondo dei social? E come si dovrebbero rapportare gli artisti con queste realtà?
Io utilizzo moltissimo i social perché rappresentano un biglietto da visita e un invito rivolto ai giovani ad avvicinarsi al mondo della danza, che non è solo estetica, tutù e brillantini, ma è sacrifici, fatica, sudore, sangue e vesciche. Sto avendo un bellissimo riscontro, perché la gente vuole vedere anche i lati nascosti della danza. In più, in seguito alla mia personale esperienza con il cancro, attraverso i social posso lanciare dei messaggi positivi anche a coloro che stanno attraversando un periodo segnato dalla malattia. Mi scrivono in tanti per chiedermi di pubblicare dei libri e di continuare a diffondere messaggi motivazionali. Sento questa grande responsabilità, anche nell’abbattere il tabù del cancro, considerato tale, soprattutto per gli artisti. Noi danzatori abbiamo infatti un tempo di vita artistica molto limitato e passare attraverso un’esperienza del genere è terribile. I danzatori ballano sul dolore, siamo delle macchine, dei soldati che anche se feriti vanno in guerra. Dobbiamo dare gioia al pubblico, nascondendo le nostre sofferenze. Ogni tanto però è bene ascoltare il proprio corpo e mostrare anche le proprie umane fragilità, per dare coraggio agli altri. Io sui social faccio questo. Credo che nel mondo di oggi sia importante avere una propria voce anche nel mondo virtuale.

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Secondo te questa può essere considerata una nuova fase del divismo?
Direi di no, anzi attraverso i social si abbatte proprio il concetto del divismo. Con i miei partner di Aida (Mick Zeni e Alessandro Macario) qualche giorno fa discutevamo proprio di questo: probabilmente se fossimo nati nel secolo scorso saremmo stati dei grandi divi per il fisico e le qualità tecniche e artistiche che oggi abbiamo raggiunto. Ma se da un lato il mondo della danza ha perso gran parte della sua popolarità, e non esistono più i grandi ballerini osannati dalle folle, dall’altro oggi abbiamo la fortuna di avere i social per avvicinare il pubblico in maniera più naturale e quotidiana. Una volta non si sapeva nulla della vita giornaliera di un divo come Nureyev, mentre oggi sarebbe assolutamente possibile e plausibile. Non siamo più delle “divinità”, siamo degli esseri umani.
Cosa ne pensi degli eventi come “Roberto Bolle and friends” rispetto all’avvicinamento di nuovo pubblico?
Penso che il lavoro che Roberto ha fatto in questi anni è molto importante per avvicinare nuovo pubblico alla danza, soprattutto in Italia. Questi sono eventi che fanno bene al nostro mondo.
Anche tu hai fatto il “Petra Conti Show”…
Sì, ho creato questo nuovo spettacolo a Los Angeles a maggio e penso ripeteremo quest’esperienza annualmente. Ho in programma di portarlo anche in tournée. Per questa prima produzione avevamo un budget davvero ridotto, ma l’intento non era scritturare grandi stelle del balletto a tutti i costi per richiamare pubblico, bensì creare uno spettacolo con gli ottimi ballerini a cui sono veramente legata. Non voleva essere solo un gala di danza, ma qualcosa di più intimo, familiare in qualche modo. Il mio spettacolo ha come fil rouge la mia vita…ho quindi scelto di ballare in nove pezzi su dieci per trasmettere quanto fosse veramente il “mio” spettacolo, assolutamente personale. Viene raccontata la mia avventura nel mondo della danza, con le mie esperienze e le mie emozioni… Ha avuto un bellissimo successo e quindi ho in progetto di rifarlo, probabilmente più in grande. La mia idea è di dare anche visibilità ai nuovi coreografi e ai giovani artisti che hanno tutte le carte in regola per emergere. Sento la responsabilità di dover fare questo. Un’altra caratteristica bellissima di questo spettacolo è stata la partecipazione dell’orchestra diretta dal m° Daniel Suk: è impagabile poter avere la musica dal vivo. È un’esperienza travolgente: alla fine vedi la musica e ascolti la danza. Inoltre, la presenza di cantanti lirici ha arricchito ulteriormente lo spettacolo, creando davvero un’unione di arti totale, completata dalle proiezioni di grandi opere d’arte alle nostre spalle. Sono contenta di averlo debuttato proprio a Los Angeles, perché è una città in cui la sperimentazione è ben accolta, il pubblico è molto ricettivo alle novità e poi è una città di artisti. Lo porterò in Italia tra qualche anno, prima voglio consolidarlo bene e farlo diventare un appuntamento atteso per il pubblico. Per il prossimo anno stiamo lavorando per portare il “Petra Conti Show” al Walt Disney Center e quindi dovremmo ingrandire e ricalibrare il progetto, data anche l’ampiezza del luogo. Magari un giorno lo porteremo in Arena! Chissà!

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Da qualche anno ti dedichi all’insegnamento…com’è la Petra Conti maestra?
Ho iniziato da qualche anno poiché prima non mi sentivo pronta per farlo. Sono una maestra simpatica (ride)… la danza è già di per sé un’arte difficile e quindi sicuramente ci vuole disciplina, ma soprattutto bisogna creare un rapporto di fiducia e con il proprio allievo, e farlo anche divertire. È importante raccontare aneddoti ed episodi divertenti dalla propria esperienza, per stimolare nello studente la voglia di fare e di imparare. Insegnare non dev’essere solo tramandare quello che abbiamo, a nostra volta, imparato da altri e bacchettare gli allievi…Il mio maestro, Prebil, era molto duro, ma anche estremamente premuroso e dolce con me, quasi un padre. Ci vuole assolutamente questo lato. Devi, per dire, essere un po’ psicologo, perché ogni persona è diversa ed ognuno ha le sue problematiche e i suoi bisogni che vanno compresi. Per questo motivo è importante essere anche maestro nell’improvvisazione. Sono consulente artistica all’Educandato agli Angeli di Verona e, ricoprendo questo ruolo, mi rendo conto di quanto sia importante per i giovani l’incontro con un’artista che ancora calca il palcoscenico e che quindi può trasmettere un’esperienza davvero diretta e immediata. Puoi davvero insegnare delle cose anche pratiche, per esempio come non scivolare di faccia a terra (ride). Non voglio essere l’insegnante che ti fa andare a casa piangendo…ma pensando, riflettendo… la danza è una materia complicata, i problemi degli adolescenti di oggi sono tantissimi, quindi non è il caso di trasmettere loro noia e depressione, ma voglia, amore e ispirazione!
Ritornando all’Arena: se ti fosse data la possibilità di scegliere un titolo o un ruolo da danzare qui, quale sarebbe?
Danzare in Arena qualunque ruolo è un’emozione. Personalmente adorerei ballare Romeo e Giulietta qui. Mio marito, Eris Nezha, ha ballato in occasione di un “Roberto Bolle and friends” in Arena proprio Romeo e Giulietta con Hee Seo, ed è stato assolutamente emozionante. In questa città essere Giulietta sarebbe un’emozione incredibile.

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Con Verona hai un legame speciale…
Verona è stata davvero la città dell’amore per me. Quando avevo 17 anni sono stata ballerina ospite per “La Cenerentola” al Teatro Filarmonico insieme ai complessi artistici dell’Arena, il mio primo grande ruolo, occasione in cui ho incontrato mio marito, che era il mio principe. Verona ha segnato quindi l’inizio della mia carriera e della mia storia d’amore. Questa città ha poi rappresentato anche il mio ritorno sulle scene dopo la malattia, due anni fa, proprio con Aida nell’edizione storica del 1913. Inoltre, vi torno almeno tre volte all’anno qui per il mio incarico di consulente artistica al Liceo Coreutico. Quando sono in Italia sono spessissimo a Verona… forse dovrei comprare casa qui! (ride)
A Verona non mancherebbero i luoghi per il balletto…penso anche al Teatro Romano…che tipo di spinta servirebbe per la rinascita della danza?
Il Teatro Romano è un’altra location meravigliosa… Ho interpretato la mia Giselle lì: un teatro fantastico. Sto studiando Leadership alla Northeastern University proprio per diventare direttore. Credo purtroppo che la caratteristica spesso più assente nei direttori di ballo, che solitamente sono ex ballerini, sia l’esperienza nel relazionarsi e nel comunicare con i propri dipendenti e collaboratori.

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Ci sono stati alcuni casi eclatanti nel mondo…
Sì, ma in generale (sto generalizzando, ovviamente) ho osservato che i direttori di compagnie di ballo non hanno una forte esperienza nella gestione del business. È invece assolutamente necessario conoscere sia le dinamiche umane e relazionali, che quelle economiche e commerciali. Mi sto preparando per questo e dovrò affrontare sia degli esami teorici che pratici. Metterò poi in pratica quasi subito quello che ho appreso, poiché sto progettando di aprire un’accademia di danza in California, un’istituzione che manca lì. Vorrei una scuola che rispetti la mia idea di insegnamento e di preparazione necessaria per creare dei nuovi professionisti. Una scuola che avrà un lato hobbistico e uno professionale. Negli USA c’è meno politica nell’arte e più meritocrazia. Sto già predisponendo, il mio business plan per proporlo a chi può sostenere, anche economicamente, questo progetto. Il mio sogno più grande è quello di aprire un teatro in America con ballo, coro e orchestra, una sorta di Teatro alla Scala… una realtà di questo genere manca negli USA, ci sono tanti organici privati che si gestiscono autonomamente… chissà! Ho grandissimi progetti, sogni e ambizioni, forse così grandi che nemmeno dovrei dirli! Si parla ancora del fatto che sia io che mio marito abbiamo lasciato il “posto fisso” di primi ballerini alla Scala. Avevamo voglia di cambiare e di fare esperienze diverse. Sono diventata prima ballerina in Scala a soli ventitré anni e sarei rimasta lì fino alla pensione. Tuttavia sono sempre stata una persona con il bisogno di cambiare e sperimentare, e certe situazioni tendono a soffocarmi. Fortunatamente mio marito è come me e quindi abbiamo preso questa decisione, non così comune. Abbiamo alla fine scelto Los Angeles come città in cui vivere e fare una famiglia… ci siamo costruiti la nostra realtà.

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Una tua definizione del ruolo della prima ballerina nel 2019.
La prima ballerina oggi è un’artista a tutto tondo, anche per la presenza dei social, come dicevamo prima. Oggi tutti hanno la possibilità di vedere e scoprire la vera vita di una prima ballerina. È un ruolo ancora più grande, con ancora più responsabilità, mentre prima la ballerina era solo la una creatura irraggiungibile, la cui vita non era costantemente sotto i riflettori. Oggi gli artisti hanno l’occhio di bue puntato addosso tutto il tempo, anche dal punto di vista etico, nei rapporti verso l’altro. Una prima ballerina è un personaggio pubblico con delle responsabilità verso il suo pubblico. Devi essere carismatica, avere una presenza adatta. Oggi devi rispondere per tutto quello che fai… È impegnativo: si è prima ballerina dal mattino fino alla fine della giornata, in ogni momento.

Grazie a Petra Conti e In bocca al lupo!

Francesco Lodola

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