All’Arena di Verona quest’anno Murat Karahan è uno dei grandi protagonisti della stagione, un vero gladiatore acclamatissimo dal pubblico, impegnato in quattro opere sulle cinque in cartellone: Radames, Manrico, Don José, Mario Cavaradossi. Questi sono i volti e le personalità interpretate dall’artista, capace di emozionare ed entusiasmare le 15mila anime che riempiono l’Arena. Proprio in occasione di questa intensa estate areniana abbiamo avuto il piacere di intervistarlo nuovamente, parlando con lui dei suoi personaggi e del suo percorso.

Il tuo programma estivo è davvero impegnativo, con quattro grandi ruoli sul grande palco dell’Arena di Verona…
Qui a Verona il sovrintendente Cecilia Gasdia sta facendo davvero un bellissimo lavoro, e ho un grande rispetto per lei perché non è facile gestire un teatro soprattutto nella crisi che l’Italia sta attraverso. È la persona giusta al posto giusto e sa molto bene quello che deve fare. Quando abbiamo iniziato le prove di regia di Aida non avevamo il soprano e Cecilia ha recitato con me l’opera!

C’è una bella differenza nell’avere un sovrintendente che è anche un cantante…come nel tuo caso…
Essere cantanti e sovrintendenti vuol dire che sai perfettamente in autonomia cosa va bene e cosa invece non funziona e quindi non necessiti di avere l’opinione di persone esterne. Sai come funziona la macchina teatrale e come accontentare anche il gusto del pubblico. L’ambiente e l’atmosfera qui in Arena è molto positiva: tutte le maestranze lavorano per un risultato comune che è il successo dello spettacolo e sono felici di farlo, sono appassionati del loro mestiere. Senza dubbio l’Arena è uno dei teatri a cui sono più affezionato nel mondo, anzi è una delle mie case, qui mi sento assolutamente me stesso. Lo scorso anno ho debuttato qui il ruolo di Calaf in “Turandot” e quest’anno ho debuttato Radames. Penso di aver fatto un buon lavoro, ma soprattutto loro hanno avuto fiducia in me affidandomi questi due grandi ruoli. Quest’anno oltre a Radames sarò anche Manrico, Don José e Cavaradossi. Spero di fare anche di più in futuro qui!

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©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

Parliamo del tuo Radames: raccontaci la tua interpretazione e il tuo modo di intendere questo personaggio…
Penso che il risultato che ho ottenuto con il debutto di questo personaggio è stato molto soddisfacente. Adoro quest’opera e questo ruolo. Qualche anno fa non tutti credevano che fosse il ruolo giusto per me. Verdi amava i baritoni e i mezzosoprani molto di più dei tenori, mentre Puccini li adora. Verdi tuttavia è un genio, ma quando sei un tenore e canti la sua musica non hai sempre la possibilità di mostrare tutte le tue abilità e la tua vocalità. Per questo sono nate tantissime tradizioni nei ruoli di tenore di Verdi e puntature di tradizione, come i Do nella cabaletta di Alfredo (“O mio rimorso! O infamia!”) o nella pira del Trovatore .

Però Celeste Aida è una grande aria tenorile…
Sfortunatamente è posizionata a cinque minuti dall’inizio dell’opera, anche in un momento in cui il pubblico non è pienamente concentrato…per questo ho fatto il Sib di “vicino al Sol” molto lungo, 15 secondi…per dire al pubblico: “Io sono qui, l’opera è iniziata!”

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©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

Tu potresti fare anche il diminuendo…
Si, assolutamente, ma in Arena preferisco non farlo, anche perché il pubblico aspetta il grande acuto e non tutti capirebbero la prodezza di sfumare quel suono.

Forse in un teatro al chiuso sarebbe diverso…
Certo, ma non sempre. Quando ho fatto Carmen al Bolshoi il bravissimo direttore Tugan Sokhiev mi ha ascoltato cantare “La fleur que tu m’avais jetèe” e io facevo il pianissimo in acuto. Lui mi disse: “Murat, non fare proprio pianissimo…meglio mezzo piano” (ride). Questo per dire che le dimensioni del teatro hanno un loro peso sull’uso delle dinamiche.

La proiezione è fondamentale per cantare in uno spazio grande come l’Arena così che i piani arrivino fino all’ultimo scalino…
Mi è capitato recentemente di vedere un video della Turandot in Arena dello scorso anno girato da uno spettatore dalle ultime gradinate e sono rimasto impressionato dalla qualità del suono: è il miracolo dell’acustica del luogo e della tecnica…

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©Denìz Toprak

Il famoso “canto in maschera”….
Si, io baso la mia tecnica sul modello di Luciano Pavarotti. Non l’ho mai sentito cantare dal vivo e non l’ho nemmeno conosciuto, ma il mio maestro in Turchia, il tenore Pekin Kırgız, una volta mi disse: “Un giorno ti insegnerò tutto, per ora apri qualunque video di Pavarotti e fai come fa lui”. Ho iniziato a guardare le sue interpretazioni e ho cominciato a mettere la bocca come lui e di conseguenza a fissare le basi tecniche dell’appoggio, maschera e passaggio. Quella che il pubblico sente oggi nel mio canto è l’impostazione tecnica di Pavarotti. Tutto è naturale, senza smorfie strane o movimenti innaturali. Pavarotti aveva la migliore tecnica di tutta la storia del canto: si può non apprezzarlo come musicista o come interprete, ma tecnicamente è perfetto. Tuttavia Pavarotti non utilizzava molto il registro di petto, quindi ho assorbito da Domingo l’uso del petto, abbinandolo alla tecnica appoggio-maschera. Credo sia una combinazione perfetta. Ho assorbito da Domingo anche la sua artisticità, mentre il cuore è tutto di Di Stefano. Per questo non ho bisogno di scurire la voce in frasi come “Sogno…delirio è questo” da “Aida”. I miei toni scuri lo sono per davvero, senza artifici tecnici che possono anche essere dannosi. Non sono un mago, semplicemente canto con la mia voce. Sono stato fortunato di incontrare il mio maestro, il più grande tenore turco. Lui avrebbe potuto sicuramente fare carriera in Europa perché era il perfetto esempio della grande antica scuola di canto all’italiana, la scuola dell’aperto ma coperto. La linea è la cosa più importante del canto, il legato!

E nel repertorio francese come cambia l’impostazione vocale?
Molti per suonare francesi tentano di fare la “r” alla francese, ma è un elemento che va contro il canto, soprattutto se non sei un cantante madrelingua francese. Alagna lo fa, ma lui è un fuoriclasse. Roberto è il mio fratello maggiore: è un cantante stupendo e una bellissima persona. Fin da quando ci siamo incontrati la prima volta mi ha dato tantissimi consigli e mi ha supportato. Roberto è un principe, Domingo è il Re e Pavarotti è l’Imperatore! (ride).

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©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

Torniamo al tuo Don José…raccontaci questo personaggio e anche il rapporto con il testo di Merimée…
Ho debuttato Don José al Bolshoi nell’ultima nuova produzione del teatro. Ho cantato la prima di quella produzione. Il Maestro Sokhiev ha diretto un’edizione assolutamente integrale, quindi senza nessun taglio di tradizione. Era molto faticoso e lungo cantare Don José, ma era assolutamente interessante. Anche il lavoro sulla regia è stato molto approfondito: abbiamo lavorato tantissimo sui duello tra Don José e Zuniga e José ed Escamillo. Il repertorio francese lo sento in ogni caso lontano da me rispetto al repertorio italiano, ma Don José è un ruolo interessante da cantare e interpretare. Se vuoi cantare questo ruolo devi avere una vocalità assolutamente flessibile, poiché parte come un tenore leggero nel duetto con Micaëla, per poi diventare un tenore grand-lyrique e un tenore lirico-spinto tendente al drammatico nell’ultimo atto. Devi avere tre colori dentro la tua voce. È un po’ come Traviata per il soprano. Per mostrare le proprie abilità vocali è l’ideale, mentre per la passione e il temperamento è un ruolo che ti costringe ad essere controllato. Teatralmente il ruolo è molto forte, specialmente il III atto è quello che preferisco. È un perdente e questo non è divertente da interpretare, come per me non lo era essere il Duca di Mantova o Alfredo sulla scena. Mi sento Cavaradossi o Calaf, personaggi coraggiosi, con degli ideali straordinari. Tuttavia siamo dei professionisti e quindi dobbiamo fare del nostro meglio per interpretare ogni personaggio. Io mi sento più italiano, mi sento affine al temperamento della gente dell’Italia meridionale….Amo Puccini, non ci posso fare niente! Divento i suoi personaggi senza bisogno di doverci pensare. Lo scorso anno ho fatto Turiddu in “Cavalleria Rusticana” al Massimo di Palermo e mi sono innamorato del verismo. Tuttavia amo l’opera in generale e quindi mi interessa cantare tutto….uno dei miei compositori preferiti per esempio è Rossini: amo la sua musica, la matematica che c’è nelle sue note, le sfide vocali! Ho cantato “Il viaggio a Reims” e “Maometto II”, inserendo nella cadenza dell’aria di Erisso il Mib sovracuto. Spesso mi chiedono come posso fare con facilità gli acuti di Turandot, Aida o Trovatore…Vengo dal Belcanto ed è la più grande scuola possibile che ti insegna a sopravvivere in qualunque situazione. Se riesci a cantare Rossini puoi cantare tutto.

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©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

In questo momento ti interesserebbe tornare a cantare Rossini…magari qualche altro ruolo Nozzari?
Vocalmente sarebbe possibile cantare questi ruoli, ma la questione di cantare determinati personaggi è anche se sei felice sul palcoscenico mentre li interpreti. Quando io canto Radames, Manrico o specialmente Cavaradossi, Calaf, De Grieux e tanti altri ruoli di lirico-spinto sono felice, mi sento a casa. Se un teatro però mettesse in scena “Il viaggio a Reims” io sono pronto per il Conte Libenskof!

Spesso oggi i cantanti vengono inseriti in categorie dalle quali è difficilissimo uscire…
Io ragiono come Pavarotti o Di Stefano, tenori che hanno cantato tutto con la loro voce e la loro tecnica. Se mi offrissero un ruolo interessante del Belcanto non lo rifiuterei assolutamente, ovviamente dipenderebbe da chi me lo sta offrendo.

Pollione di Norma potrebbe essere un ruolo adatto a te…
Amo molto Bellini, e ho cantato Elvino ne “La Sonnambula” solo sei anni fa! Il problema è che se il ruolo richiede la coloratura oggi i teatri vogliono delle voci diverse dalla mia, non così ampie. Sono felice quindi dei ruoli che sto cantando. Qui a Verona ho ritrovato Anna Pirozzi con cui formiamo una bella coppia vocale e con la quale stiamo facendo un bel lavoro: lei è bravissima, è una meravigliosa musicista e cantante. Sono felice di cantare con lei e questo è molto importante sulla scena avere affinità con i colleghi.

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©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

Parliamo invece del tuo Manrico…
Manrico è un eroe, ma è anche un adolescente. L’equivoco con ruoli come Radames o Manrico è di pensarli come uomini maturi, se non anziani, mentre entrambi avranno al massimo vent’anni. La prima a suggerirmi di cantare Manrico fu Renata Scotto a Santa Cecilia, a Roma. Lei è la regina del legato e mi insegnò cosa voleva dire cantare davvero l’opera, fare musica. Mi fece cantare un’aria del “Dom Sébastien” di Donizetti e mi mostro come interpretare le linee musicali. Subito dopo mi disse di cominciare a studiare Trovatore. Io rimasi un po’ perplesso, ma lei mi disse che non è un ruolo spinto…è un ruolo di Belcanto, e aveva ragione. L’altra persona che ho incontrato a Santa Cecilia e che mi ha cambiato la vita è stato Bruno Cagli, una grande persona, che mi ha aiutato a fissare la mia tecnica. Sono stato fortunato di conoscere queste due grandi persone. Ho cominciato la mia carriera in Europa con “Lucia di Lammermoor” e “Il Trovatore”.

Sia in Tosca che in Carmen, ti ritrovi a cantare con una delle colonne dell’Arena: il Maestro Daniel Oren…
Il Maestro Oren è anche lui un Re! È un vero genio: riesce a spronarti per fare il meglio e ti dà tutto quello di cui hai bisogno. È un onore, un piacere cantare con la sua direzione. È innamorato del suo lavoro ed è un esempio per noi artisti perché non fa arte per sé stesso ma per il pubblico. Non è così facile trovare un artista così generoso. È un piacere cantare anche con il Maestro Ciampa, che è un principe! Ti senti così sicuro a cantare con il Maestro Ciampa, è così calmo, non ha bisogno di esagerare, anche quando fai un errore ti fa sentire il suo supporto e ti aiuta. Qui c’è anche una straordinaria orchestra che ha una fortissima energia positiva che è importantissima per noi e anche il coro è strepitoso, una vera e propria eccellenza nel mondo. Qui non è solo un Festival dell’Opera, l’Arena è il cuore di questa città, Verona è una delle città della musica del mondo. È stata un’emozione cantare nell’Aida 1913: ero nel backstage prima di entrare in scena e quando ho salito gli scalini per cantare “Celeste Aida” ho pensato a com’era straordinario essere lì, 106 anni dopo la prima Aida, in quelle stesse scene, come Zenatello…ho pensato alle emozioni che avrà avuto lui e tutti coloro che hanno partecipato alla prima Aida qui! È commovente immaginare che stai facendo la stessa cosa, cantando la stessa aria come i tuoi eroi hanno fatto prima di te! Non ci sono parole per descrivere le emozioni di questo logo.

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Com’è la situazione dell’opera in Turchia?
L’opera in Turchia vive un momento di grande benessere. Abbiamo sei grandi teatri d’opera e il più grande è stato fondato settant’anni fa. Abbiamo una tradizione operistica notevole e il pubblico turco è molto vicino a quello italiano per gusto e inclinazioni. Siamo mediterranei e abbiamo più o meno lo stesso sangue. D’altronde Ankara, Napoli e Catania sono sulla stessa linea! (ride). Quando sono all’Opera di stato di Ankara dove sono direttore generale mi piace ascoltare i ragazzi che mi vengono a chiedere consigli e dare anche qualche lezione, assolutamente gratis. Io, Leyla Gencer e alcuni altri cantanti turchi siamo riusciti a fare una carriera in Europa e nel mondo. Mi piacerebbe che nel futuro ci possano essere altri cantanti che superino i confini della Turchia e si costruiscano una carriera internazionale.

Grazie a Murat Karahan e In bocca al lupo!

Francesco Lodola

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