Ci accoglie nel suo camerino, Stephen Costello, uno dei tenori più importanti nel panorama operistico attuale. Tra pochi minuti vestirà i panni di Alfredo ne “La Traviata” all’Arena di Verona. E’ il suo debutto nell’anfiteatro e con grande simpatia ci racconta le sue emozioni nel cantare in Italia e il suo rapporto con i personaggi a cui dà voce.

Com’è nato il tuo amore per il canto e in che modo hai deciso di farne il tuo mestiere?
Questa è una storia interessante, perché molti hanno cominciato fin da molto giovani a cantare e spesso hanno un retroterra familiare con il mondo dell’opera. Io ho cominciato tardi, ero uno strumentista, ho suonato la tromba per anni. Il mio insegnante però mi spinse ad entrare in un coro, perché secondo lui cantare insieme agli altri mi avrebbe aiutato nell’affrontare poi l’esperienza di suonare in un ensemble, soprattutto per l’intonazione e la precisione musicale. Non volevo, soprattutto perché nel mio liceo il coro provava alle sei del mattino, una vera sfida per ogni cantante (ride), tuttavia era l’unico orario possibile! Sono entrato anche in un mondo fatto di competizione, perché spesso c’era il ragazzo accanto a te che cercava di cantare più forte per farsi sentire meglio. Però ho iniziato a capire meglio il canto, la sua corporeità, il suo essere davvero legato alla propria essenza individuale. Spesso quando si suona uno strumento è difficile trovare il suono giusto, mentre cantando il suono è quello che è nato con te, che ti definisce da sempre.

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©Merri Cyr

In che modo la tua esperienza come strumentista ti ha influenzato e aiutato nel tuo percorso con il canto?
Mi ha aiutato moltissimo, soprattutto musicalmente. Studiando canto non avviene spesso di fare lezioni di musica e soprattutto non capita di leggere tutti i giorni musica di stili diversi e sempre nuova, magari anche cinque brani diversi in una sessione di studio. Aver lavorato sulla musica con un approccio da strumentista mi ha aiutato nell’avere un approccio diverso allo studio, in qualche mondo mi ha avvantaggiato.

Quanto è importante l’essere musicista nel mondo dell’opera di oggi?
Credo che l’aspetto più importante oggi per un interprete moderno è essere un attore. Essere musicista però è davvero molto importante, per rispetto dei propri colleghi e dei musicisti che lavorano con te. Mia moglie è una violinista nell’orchestra della Metropolitan Opera e non c’è niente di peggio di avere un’orchestra straordinariamente musicale e invece sul palco dei cantanti che non lo sono.

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©Simon Pauly

Questo è stato il tuo grande ritorno in Italia e il tuo debutto all’Arena di Verona…Quali sono state le tue emozioni?
Sono passati dieci anni dall’ultima volta che ho cantato in Italia. Cantare qui davanti a quindicimila persone ogni sera è davvero incredibile. Se fossi stato più giovane sicuramente sarei stato molto più nervoso…gli spazi grandiosi di questo luogo possono davvero intimidirti, ma grazie all’esperienza ho affrontato con serenità questo debutto. Il segreto è cantare con la propria voce, fare musica con l’orchestra, il direttore e i propri colleghi e concentrarsi per dare il meglio.

Qual è la tua visione del personaggio di Alfredo?
E’ difficile per me capire il carattere di Alfredo…è molto, molto infantile. Non ha mai conosciuto il vero amore e sta vivendo una fase di ribellione dalla sua famiglia. Alfredo ha dei cambiamenti di umore repentini: un momento è estremamente entusiasta, poi è agitato e ansioso e poi è triste. E’ un personaggio davvero difficile da interpretare. Credo che solo un adolescente potrebbe capire la sua personalità e i suoi tanti stati d’animo. E’ tuttavia un bel ruolo, la musica è bellissima e ogni volta mi mette alla prova proprio per questa sua personalità inafferrabile.

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©Merri Cyr

Recentemente hai interpretato il Duca al Festival di Bregenz…quali sono le affinità e le differenze tra questi due ruoli?
Il Duca ha certamente delle somiglianze con Alfredo, però il suo carattere è unidimensionale e unidirezionale. E’ un uomo molto freddo, che fa solo quello che vuole e tutti attorno a lui fanno di tutto per la sua soddisfazione. L’unico momento in cui si intravede un altro lato della sua personalità è l’inizio del II atto, una scena che nel dramma di Hugo non era scritta. Però è un aspetto che emerge solo un istante, perché subito dopo quando i cortigiani gli annunciano di aver rapito Gilda ritorna ad essere superficiale come prima. Credo sia un ruolo più facile da interpretare rispetto ad Alfredo, anche se vocalmente è invece più complesso e più acuto. Alfredo ha una scrittura più centrale, esclusa la cabaletta “O mio rimorso” che è un momento separato da tutto il resto e che avvicina Alfredo a Manrico del Trovatore. Sono sempre curioso di capire quello che c’è dietro questi personaggi e sulle intenzioni che Verdi aveva nello scrivere ogni pagina di musica.

Il Duca probabilmente è più vicino ai ruoli del Belcanto…
Si, assolutamente. Posso assicurare che è davvero un ruolo di Belcanto. Se inizi a cantare il Duca come un tenore spinto avrai molti problemi nell’affrontare tutte le sue difficoltà.

Hai dedicato il tuo primo solo album al Belcanto, da Donizetti a Verdi, un repertorio in cui la scuola americana ha sfornato grandissimi talenti: com’è cambiata oggi la scuola di canto statunitense?
Penso che la scuola americana si rifaccia al modello della scuola italiana di canto e anche l’approccio al repertorio del Belcanto è assolutamente all’italiana. Quello che penso è che qualche volta nelle accademie di canto negli USA ci si concentri troppo sugli aspetti della mera vocologia, mentre il canto non è fatto altro che di uso del fiato e sostegno. Molte volte si crea confusione negli allievi, insegnando cose che non servono poi nella pratica. Oggi spesso negli Stati Uniti non si studia il Belcanto, che io invece ritengo sia una vera e propria scuola per la voce. Bellini e Donizetti sono i migliori maestri per un giovane cantante, anche più di Mozart, che io adoro ma che richiede una perfezione tecnica già acquisita. Penso che per esempio un’aria come “Quanto è bella” sia così piena di cose da mettere in pratica che mette un giovane tenore alla prova con tutte le caratteristiche e le abilità che sono richieste. Ho cantato recentemente Carmen e dopo averla affrontato ho sentito l’esigenza di tornare al Belcanto, non perché io abbia forzato la mia voce ma perché sono entrato in un’altra area e quindi avevo bisogno di ritornare a cantare i ruoli belcantistici per pulire la mia voce. Mi succede di farlo anche durante una produzione, tra le recite.

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©Merri Cyr

Un ruolo che ti piacerebbe cantare qui all’Arena?
Direi Romeo assolutamente! Un ruolo che più veronese non si può! Adoro cantare qui in questo luogo e amo l’Italia, un paese straordinario. Sono stato a Roma qualche giorno fa e sono rimasto ancora una volta a bocca aperta davanti alla bellezza della città e a tutta la storia che c’è in quelle strade. Al ritorno non riuscivamo a scegliere una città dove fermarci per visitare…Bologna, Firenze, Venezia…una più bella dell’altra!

Ti aspettiamo di più in Italia!
Qui è un posto eccitante dove cantare, perché qui è stata fatta la storia dell’opera…avete l’opera nel DNA e probabilmente a scuola la studiate, mentre noi non abbiamo questa possibilità. Qui, camminando attorno all’Arena basta leggere le vecchie locandine del Festival e in ognuna leggi i nomi dei grandi tenori italiani. Ricordo quando cantai ad Ancona, il mio debutto italiano, e tutti, appena dicevo di essere un tenore, mi dicevano: “lo sai che questa è la città di Franco Corelli?” (ride)

Grazie a Stephen Costello e In bocca al lupo!

Francesco Lodola

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