Forti emozioni al Comunale di Modena per una fresca e coinvolgente Bohème, primo titolo della Stagione nel ricordo di Luciano Pavarotti e in occasione dell’anniversario della sua nascita, con la messa in scena dell’amico e collega di una vita, Leo Nucci.
Quando si parla di Luciano Pavarotti il pensiero non può non correre anche a “La Bohème”, quel titolo che per tanti anni lo ha accompagnato in successi strepitosi, a partire proprio dal suo debutto, nel lontano aprile del 1961, a Reggio Emilia e immediatamente dopo Modena, la sua città. Già da allora era chiaro che il personaggio di Rodolfo, giovane poeta squattrinato ma capace di sentimenti sinceri, autentici e forti sarebbe stato uno di quelli per i quali la Storia lo avrebbe reso immortale, tanto la sua voce solare e il suo carattere dolce si coniugavano perfettamente ad esso. E allora perché non omaggiarlo così, in occasione di quello che sarebbe stato il suo 84esimo compleanno, nel “suo” teatro, con la “sua” opera, magari con la partecipazione di un suo grande amico oltre che “compagno di avventure” sulle scene di tutto il mondo?
La scelta del Teatro Comunale di Modena, intitolato proprio a Big Luciano, è quanto mai azzeccata ed è anche il miglior modo per avviare una Stagione 2019-2020 che si preannuncia ricca di emozioni ed inaugurare un percorso che ripercorrerà le tappe di una lunga carriera attraverso la messa in scena delle opere da lui cantate in ordine di debutto.

La regia è di Leo Nucci, a tutti conosciuto come grande baritono ma ormai da qualche anno attivo, con ottimi risultati, anche come regista. A onor del vero va detto che egli preferisce parlare di messa in scena più che di regia, seguendo l’idea che quest’ultima risieda di per sé nelle indicazioni esplicite ed implicite della partitura e del libretto. Il suo spettacolo, che molti definirebbero tradizionale, si pone piuttosto l’obiettivo di “tornare alle origini”, ovvero a ciò che è scritto, tentando di valorizzarne ed interpretarne i tratti. Niente stravolgimenti o sorprese dunque, ma nemmeno una interpretazione zuccherosa e kitsch, tutt’altro: movimenti e recitazione sono validi e mai lasciati al caso, al tempo stesso però risultano di grande naturalezza. Davvero belle e di ottima fattura le scenografie di Carlo Centolavigna che ricreano con attenzione ai dettagli le suggestive atmosfere della Parigi invernale e natalizia, sotto i cui comignoli fumanti si trova la fredda e povera soffitta di Rodolfo e amici. Anche i costumi, di Artemio Cabassi, si sposano perfettamente e coerentemente con l’idea di Bohème proposta da Nucci (da menzionare in particolar modo l’appariscente veste di Musetta mentre Mimì è forse un po’ “sovraccarica”) così come le luci efficaci di Claudio Schmid.

A far felici le orecchie e il cuore, oltre che gli occhi, ci pensano i cantanti, tutti giovani e di grande interesse:
Mimì è Maria Teresa Leva, soprano dalla voce luminosa e assai duttile, interprete raffinata e prodiga di dinamiche e sfumature (incantevoli le mezze voci). Talvolta la dizione non è chiarissima ma il suono è sempre bello pulito e di grande espressività, il personaggio delicato e sofferente.

Lucrezia Drei da vita ad una Musetta affascinante e credibile tanto musicalmente quanto, finalmente, sulla scena, attraverso la rimozione di certe fastidiose esasperazioni attoriali che siamo abituati vedere abitualmente ma senza rinunciare a mostrare i diversi lati del suo carattere, capriccioso ma poi capace di generosità e sensibilità.
L’attenzione era tutta su di lui, per ovvie ragioni, e Matteo Desole, Rodolfo, non si è fatto intimorire: con il suo piacevolissimo timbro fresco e solare (che a tratti ricorda quello del compianto Gianni Raimondi, altro grande Rodolfo) ed un canto morbido e vario di accenti è un giovane poeta ingenuo, spontaneo e profondamente innamorato che ispira simpatia sin dal principio, in un crescendo che lo porta allo struggente finale e ad un meritato trionfo personale.

Carlo Seo è un Marcello tecnicamente e stilisticamente solido, dotato di musicalità e fraseggio espressivo ma con qualche pecca di pronuncia.
Lo Schaunard di Felipe Oliveira, corretto, e il Colline di Maharram Huseynov, molto giovane ma altrettanto sicuro e padrone del proprio pregevole strumento vocale, completano un cast vincente.
Molto buone anche le performance nei ruoli minori di Roberto Carli (Parpignol), Gianluca Lentini (Benoit/Alcindoro), Paolo Marchini (Sergente dei doganieri) e Stefano Cescatti (Doganiere).

Il M° Aldo Sisillo dirige con autorevolezza ed intensità l’Orchestra Filarmonica Italiana e guida con equilibrio l’insieme, cui si aggiungono le ottime prove del Coro Lirico di Modena (preparato dal M° Stefano Colò) e delle Voci Bianche della Fondazione Teatro Comunale di Modena (il cui Maestro è Paolo Gattolin).
Teatro prevedibilmente e piacevolmente pieno, con grande successo per l’intera compagine, non senza una palpabile commozione nel ricordo, eterno e grato, a chi in una sera di quasi 60 anni fa faceva risuonare le stesse note con la sua voce baciata da Dio proprio lì, nella sala del Vandelli, dove tutto doveva ancora cominciare.
Grigorij Filippo Calcagno
Modena, 13 ottobre 2019