Prosegue all’insegna della tradizione e di Giacomo Puccini la Stagione 2019-2020 del Comunale di Modena, con l’ormai consolidato allestimento di Tosca firmato Fassini e un cast d’esperienza e garanzia.
Rappresentare un titolo amato e così frequente nei teatri come “Tosca” non è mai semplice se si ha l’ambizione di produrre qualcosa che rimanga impresso ed emerga dalla routine. Rappresentare Tosca a Modena, città di nascita o di adozione di interpreti che con quest’opera hanno avuto legami unici e indiscutibili (da Arrigo Pola che proprio qui debuttò come Cavaradossi nel 1945 a Raina Kabaivanska, la Floria Tosca di riferimento degli ultimi 50 anni, passando per Luciano Pavarotti e altri) è ancora più complesso tali sono le aspettative e l’amore del pubblico per il capolavoro Pucciniano.

Il Comunale, dopo ormai una decina d’anni dall’ultima occasione, sceglie di riportare in scena Tosca a sole due settimane da una splendida Bohème, continuando nel segno vincente di Puccini e della tradizione. Lo fa puntando sull’”usato sicuro”, ossia l’ormai ventennale splendido spettacolo di Alberto Fassini, più volte transitato nei teatri emiliani. Il regista, Joseph Franconi Lee, tratta con estremo rispetto l’idea originaria aggiungendo un efficace tocco di colore tramite le luci di Roberto Venturi (riprese da Caroline Vandamme); al bianco e nero che dominano interamente l’azione e la scena quasi come in un film noir, si succedono bruscamente nel finale il giallo prima, nell’orizzionte di un’alba carica di angoscia e un rosso vivo che squarcia ed accende “di sangue” il tragico finale. Luci (e ombre) che contribuiscono con grande efficacia ad uno spettacolo in cui estremo valore viene dato al teatro, come è giusto che sia. Si pensi ad esempio al suggestivo cambio di illuminazione che avviene nella sala di Palazzo Farnese quando, dopo aver ucciso Scarpia, Tosca soffia, spegnendo, le candele sulla scrivania. Le scenografie, come detto impostate su una sostanziale prevalenza del bianco e del nero, si compongono di pochi elementi distintivi che caratterizzano i luoghi della trama e incombono con le loro soverchianti e volutamente pesanti dimensioni. I costumi, di William Orlandi (come le scene), sono fedeli e curati nel dettaglio, a partire da quelli, meravigliosi, della protagonista.
Se la parte scenica convince, quella musicale non completamente, pur essendo nel complesso soddisfacente.

Ainhoa Arteta, si sa, è una Floria Tosca d’esperienza e in questo senso è una garanzia. Di affascinante presenza scenica, la cantante ha dalla sua un temperamento ragguardevole, una padronanza scenica di assoluto rilievo e una voce, sì matura, ma ancora limpida ed espressiva, sapientemente gestita tramite un solido controllo del fiato e un efficace fraseggio. Commovente e di estrema intensità drammatica il “Vissi d’Arte”, in cui raggiunge il proprio apice con un’interpretazione ricca di sfumature, che trasmette con straziante sincerità tutto il dolore e l’angoscia del personaggio.

Luciano Ganci, nei panni di Mario Cavaradossi, si distingue per il bel timbro di voce, luminoso, “italiano” e per il canto generoso ed appassionato. La sua interpretazione è focosa ed ispirata, ma mai eccessiva o esasperata, il fraseggio è vario e incisivo, la voce sonora e sicura in ogni registro, sebbene talvolta sembra che il tenore ami rischiare in quello acuto ma con intelligenza, risolvendo anche i passaggi più insidiosi senza spiacevoli conseguenze.

Dario Solari, dalla figura autorevole ed elegante, non è lo Scarpia volgare e quasi grottesco cui purtroppo spesso si assiste. Il suo barone viene completamente ripulito da brutti versi e comportamenti rozzi, riacquistando tanto sulla scena quanto nel canto, la nobile compostezza di un autoritario spregiudicato ma pur sempre affascinante, potente. Nonostante ciò, la voce, abbastanza chiara nel colore e sorretta da una buona pronuncia, non è particolarmente voluminosa e talvolta scompare, nei momenti di maggior “frastuono”, complice una direzione non particolarmente clemente in tal senso.
Giovanni Battista Parodi è efficace e credibile come Cesare Angelotti, con un timbro ben proiettato e di bel colore.
Quasi del tutto inudibile, purtroppo, il Sagrestano di Valentino Salvini, che pure ha dalla sua un innegabile physique du rôle.
Potrebbe apparire singolare, e forse lo è, ma la sorpresa positiva del cast proviene dagli ultimi tre personaggi in ordine di scaletta sul programma di sala. Raffaele Feo è uno Spoletta che sfoggia volume considerevole in un ruolo in cui siamo abituati a non sentire nulla il più delle volte e interpreta con personalità anche attorialmente. Lo stesso si può dire di Stefano Marchisio, uno Sciarrone preciso, ben udibile, significativo. Infine il Pastore, la cui parte è cantata con raffinata musicalità e con voce limpida da Isabella Gilli. Completa il cast Simone Tansini, corretto nella parte del Carceriere.

La direzione di Matteo Beltrami non è brillante come siamo soliti conoscerlo. Se da un lato traspaiono grandi intenzioni nei gesti, concretamente l’espressività e la sottolineatura di certe tinte ed atmosfere viene compiuta sovente con rallentamenti eccessivi che non aiutano i cantanti e spezzano il ritmo dell’azione, in special modo nel secondo atto e alcune delle voci risultano spesso coperte dal suono dell’Orchestra Filarmonica Italiana, non impeccabile ma capace di bei momenti solistici (perfetti i corni all’inizio del terzo atto e i violoncelli). Ottima la prova del Coro Lirico di Modena e delle Voci Bianche della Fondazione Teatro Comunale di Modena, preparati come di consueto rispettivamente dai Maestri Stefano Colò e Paolo Gattolin.
Grande successo per gli interpreti principali, applausi convinti per il resto del cast, qualche riserva sul direttore.
Grigorij Filippo Calcagno
Modena, 29 ottobre 2019