La Traviata alla Fenice è uno di quei super classici intramontabili, così come lo è l’allestimento di Robert Carsen che inaugurò la Fenice ricostruita nel 2004 e che è diventata quasi un simbolo della rinascita di questo teatro. Tuttavia il pericolo quando si propongono degli allestimenti in continuazione è che talvolta le riprese non siano sempre vincenti e questo è stato il caso. I meccanismi della fascinosa drammaturgia di Carsen risultano annacquati nell’interpretazione dei protagonisti, facendo così cadere la tensione narrativa in una routine non priva di qualche segno di stanchezza. E’ nelle feste del I atto e del II e nell’atto finale che lo spettacolo riprende vita e trova tutta la sua energia e bellezza.

L’anello debole di questa serata era purtroppo la Violetta di Zuzana Markova, la quale seppur disinvolta dal punto di vista vocale (anche se non perfetta) non possedeva l’attitudine per “essere” Violetta come attrice e come interprete. Il suo momento migliore è la scena della morte, ma qui la aiuta la trovata geniale e suggestiva di Carsen, il quale sul “rinasce” di Violetta riaccende le luci dell’intero teatro, che poi si spengono quando ella spira.

Airam Hernández è un ottimo Alfredo, che avrebbe necessitato di una guida teatrale più incisiva per poter esaltare il suo ossessionante voyeurismo come concepito originariamente da Carsen. Tuttavia si esprime con una vocalità sana di tenore lirico puro di buona scuola.

Brilla di luce propria il Germont padre di Vladimir Stoyanov, recentemente nominato Cavaliere di Giuseppe Verdi, il quale si impone per il canto elegante, sapiente e la personalità in grado di “accendere” ogni accento di profondo senso teatrale ed espressivo. Il suo personaggio così autentico fa vibrare il pubblico che dopo l’aria “Di Provenza il mar, il suol” gli dedica l’applauso più sentito della serata.
Accanto ai protagonisti si muove un team di collaudati interpreti, a partire da William Corró nei panni di un eccellente Barone Douphol, Enrico Iviglia (un brillante Gastone, Elisabetta Martonana, una spigliata Flora, Luciano Leoni (Dottor Grenvil), Matteo Ferrara (Marchese d’Obigny e Sabrina Vianello (Annina).
Dirigeva l’Orchestra della Fenice (in splendida forma) Stefano Ranzani, il quale optava per tempi spediti di bella suggestione (la scena da “Invitato a qui seguirmi” nel II atto), concedendosi tuttavia qualche volta sonorità un po’ troppo impetuose, anche se mai contro il canto. Magnifico il coro diretto da Claudio Marino Moretti.
Al termine un calorosissimo successo.
Francesco Lodola
Venezia, 26 ottobre 2019