Buon successo nel capoluogo emiliano per la nuova produzione in collaborazione con lo Staatsoper Hamburg del poco rappresentato unico lavoro operistico di Ludwig van Beethoven

Rappresentato qui solamente due volte in precedenza, nel 1947 e nel 1987, Fidelio torna finalmente sul palcoscenico del Comunale di Bologna. Se si da un occhio alla Storia si nota subito come l’opera, cui il Maestro lavorò tormentatamente per anni, ebbe non poche difficoltà ad arrivare in Italia e ad affermarsi con regolarità nei teatri principali, cosa che di fatto non avvenne mai del tutto. Fidelio fu sin dall’inizio considerata distante dalle forme canoniche dell’Ottocento Italiano vocale (alle parti cantate si alternano parti recitate che rimandano al teatro di Prosa) e fu accusata a lungo e ingiustamente di scarsa teatralità benché essa invece concentrasse e riversasse fisicamente sulla scena, trasformandola in teatro puro, tutta la sostanza morale che Beethoven aveva già e avrebbe ancora espresso nella propria produzione musicale di Sinfonie, Sonate e Quartetti. Certo, se di teatralità si vuole parlare non si può ignorare come questa sia ben distante tanto dai tratti di quella di Mozart-Da Ponte quanto da quella italiana, per sensibilità, riferimenti, animo. Musicalmente traspare invece chiaramente l’eredità classica, armoniosa, limpida di Haydn e Mozart ma sono altrettanto evidenti gli elementi di innovazione più tipici del tratto di Beethoven, che irrompono con violenza ad alterare gli equilibri del passato e a segnare un punto di spartiacque della carriera del compositore.

©️Studio Casaluci

Per l’occasione l’allestimento vede la regia dello Svizzero Georges Delnon, che sceglie di spostare la vicenda in una ambientazione riconducibile alla DDR degli anni 80. La scelta sulla carta potrebbe forse anche potenzialmente aprire piste interessanti per sviluppare e dare maggior risalto ad alcuni messaggi contenuti nell’opera senza intaccarne la sostanza. Tuttavia nella pratica la regia ci sembra complessivamente piuttosto statica, piatta e incapace di valorizzare le tensioni emotive necessarie, basti pensare al momento topico in cui Leonore svela la propria identità irrompendo al centro della scena, risolto in maniera teatralmente debole. La riflessione è sempre la stessa: trasporre in un’altra epoca o luogo l’azione può risultare efficace se ciò non confligge con il senso di quanto scritto e anzi fornisce nuove chiavi interpretative che aiutino a riflettere meglio su determinati tratti su cui il compositore si è soffermato. Non sempre è possibile farlo, quando lo è, non è detto che nella effettiva realizzazione accada; ecco perché qui tutto questo lavoro pare fine a sé stesso, sia ben chiaro, senza disturbare l’occhio, l’orecchio, il cuore e la testa, ma senza una reale ragion d’essere. Le scene ben curate sono di Kaspar Zwimpfer, i costumi, spesso contemporanei e non in linea con l’ambientazione scelta, di Lydia Kirchleitner, le luci (forse la parte migliore della compagine di regia) di Michael Bauer, i video di fettFilm.

©️Studio Casaluci

La parte musicale è affidata alla direzione del M° Asher Fisch, che risolve con autorevolezza e personalità l’interpretazione di questa complessa partitura guidando in maniera equilibrata e musicale l’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna e il cast. Menzione speciale per il Coro del Comunale, preparato da Alberto Malazzi, che regala una prova superba nel magnifico finale, culmine emotivo dell’opera.
Tra i cantanti spicca in primo luogo l’eccellente prova di Lucio Gallo, nei panni di Don Pizarro, credibile tanto sotto il profilo attoriale quanto sotto quello vocale. Preciso, musicale, di accenti vari e intenzioni sempre efficaci, il suo personaggio si distingue per solidità e spessore interpretativo.
Ugualmente convincente Christina Gansch, Marzelline. Di bella presenza e perfettamente a proprio agio nella parte, si destreggia sulla partitura con sicurezza e versatilità.

©️Studio Casaluci

Nicolò Donini tratteggia un Don Fernando corretto e nel complesso soddisfacente, pur senza un materiale vocale particolarmente corposo ma comunque di buon volume e ben modulato.
Rocco è interpretato con personalità ed impegno da Petri Lindroos, basso che sfoggia uno strumento sonoro e giustamente “tagliente”, emesso con padronanza e intelligenza, garanzia di un meritato successo personale.
Leonore, ovvero Fidelio, è il soprano Simone Schneider, tanto solida sul piano della voce, quanto un po’ generica e poco ispirata su quello interpretativo. Le pagine musicali più importanti che la vedono protagonista la vedono autrice di una performance sicuramente positiva ma non indimenticabile.
Erin Caves, tenore, è Florestan. Purtroppo il suo timbro ci appare poco bello e l’emissione difficoltosa, il cantante appare talvolta in difficoltà nel gestire il fiato e il registro più acuto. La sua prova viene comunque portata a termine adeguatamente.
Completano il cast Sascha Emanuel Kramer, ispirato e ben riuscito Jaquino, e i due prigionieri, Andrea Taboga e Tommaso Norelli.

Grigorij Filippo Calcagno
Bologna, 13 novembre 2019

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