Ci sono delle opere che hanno un colore che le contraddistingue e Macbeth è una di queste, con la sua tinta color ruggine, una ruggine che dilania e consuma le anime dei suoi protagonisti.
Nello spettacolo (proveniente dal Teatro Nacional de Sao Carlos di Lisbona) andato in scena al Teatro Grande di Brescia per la stagione di Opera Lombardia e firmato da Elena Barbalich, si coglieva perfettamente la cromia di questo capolavoro verdiano, grazie alle essenziali scene di Tommaso Lagattolla (curatore anche dei bei costumi), che solo con una grande pedana circolare dai significati ambivalenti e ad un gioco di velari di tulle (esaltati dal disegno luci di Giuseppe Ruggiero) riusciva a rendere in maniera precisa l’atmosfera cupa della drammaturgia di Macbeth.

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©Alessia Santambrogio

Punto d’eccellenza della produzione era il cast radunato per l’occasione in cui emergeva il debutto nel ruolo di Lady Macbeth di Silvia Dalla Benetta, artista eclettica e uno dei migliori soprani italiani di oggi.
La Dalla Benetta imprime alla Lady il suo temperamento grintoso, combattivo, ma anche in possesso di un’alterigia superba e arrogante, che si accompagna ad una presenza scenica affascinante e giustamente regale. Il soprano dimostra come diceva Maria Callas che chi sa cantare il Belcanto può cantare tutto, e infatti si getta nella scrittura verdiana da fine belcantista, cogliendo appieno lo spirito del compositore quando parlava di voce “brutta”, ossia espressiva. Ogni parola è miniata sul significato e non sulla mera bellezza del suono, e l’emissione (in tutti i registri compreso quello grave con accorto uso della voce di petto) è gestita perfettamente tra grandi aperture di suono, suoni a fior di labbro o a denti digrignati e sibilanti. Se nella cavatina, in cui purtroppo viene privata della lettura della lettera, mette in luce tutta la sua abilità nella coloratura drammatica (la Lady è figlia di Norma e Semiramide, di cui la Dalla Benetta è richiesta interprete), ne “La luce langue” si fa strada un’espressività sanguigna, mentre nel sonnambulismo sfocia tutta la sua forza espressiva nel rendere la follia e l’allucinazione di quest’anima perduta. Una vera artista.

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©Alessia Santambrogio

Accanto a lei le era degno partner Angelo Veccia, il quale sa volgere con intelligenza musicale ed espressiva i limiti di una voce dalla timbrica non classicamente bella in pregio nel ritrarre la figura di questo debole condottiero succube dell’ambiziosa consorte. Il suo è un Macbeth introspettivo, fin dall’inizio debole e indeciso, privo di quell’autorità che lo renderebbe un vero sovrano. Vocalmente tutto ciò si traduce in un’interpretazione miniata su accenti sussurrati e mezzevoci suggestive e ben sostenute tecnicamente. A ciò si aggiunga un’attorialità matura e di spessore.

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©Alessia Santambrogio

Alexey Birkus è un Banco dalla bella voce, messa in rilievo nell’aria “Come dal ciel precipita”, ma la cui espressività ha bisogno di un’ulteriore maturazione per sortire un effetto più deciso. Ugualmente Giuseppe Distefano è un Macduff di bello spessore lirico pieno ma dalla tavolozza di colori spesso ristretta al forte e mezzoforte.
Bene il Malcolm di Alessandro Fantoni, la Dama di Katarzyna Medlarska e il Medico/Domestico di Alberto Comes.
Punto debole della produzione l’Orchestra dei Pomeriggi Musicali diretta da Gianluigi Gelmetti. Il Maestro non perde mai la coesione tra buca e palcoscenico, tuttavia opta per tempi letargici e per sonorità diafane ideali per alcuni momenti, ma fatali per altri, come il grande concertato di fine atto I (“Schiudi inferno”) il cui effetto è totalmente vanificato. Bene la parte maschile del coro di Opera Lombardia diretto da Diego Maccagnoia, mentre le streghe non risuonano con la loro forza teatrale, forse a causa della direzione.
Al termine un calorosissimo successo per tutti.

Francesco Lodola
Brescia, 16 novembre 2019

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