Dopo i due interessanti debutti negli scorsi mesi dell’opera cinese “Marco Polo” e del musical “Aggiungi un posto a tavola”, apre ufficialmente la stagione lirica 2019-2020 al Teatro Carlo Felice di Genova il Trovatore, titolo che venne tra l’altro scelto per inaugurare il nuovo attuale teatro nel 1991.
L’opera, che assieme a Rigoletto e Traviata rientra nella celebre “trilogia popolare” è senza dubbio tra i più conosciuti ed eseguiti lavori del cigno di Busseto nel mondo, ed è proprio in questi casi che si rischia di cadere in esecuzioni da catena di montaggio, dozzinali e prive di eccellenze.

Con grande piacere e con una buona dose di oggettività si può affermare che tutto ciò lungi dall’essere proprio al Trovatore genovese a cominciare dall’orchestrazione sempre attuale e perfettamente in linea con l’evoluzione della linea drammatica, intrisa di pathos, ma senza per questo cadere nella pesantezza di suoni eccessivamente carichi di forza, o peggio ancora bandistici, merito del giovane direttore d’orchestra Andrea Battistoni e dell’Orchestra del Teatro Carlo Felice.
Ottimo anche il Coro, diretto dal Maestro Francesco Aliberti.
Dal punto di vista scenico, ciò che emerge dalla regia firmata da Marina Bianchi e dalle scene e costumi firmati da Sofia Tasmagambetova e Pavel Dragunov è l’idea di un Trovatore cupo, immerso in un clima del terrore; l’idea di per se convince e, se così possiamo dire, rafforza la drammaturgia di una vicenda che comunque non necessita di particolari aiuti per essere estremamente coinvolgente, ciononostante alcuni dettagli, come lo strattone che Azucena dà a Manrico spingendolo verso il fuoco durante le battute “nel foco la traggo, la sospingo…” per citarne uno, dimostrano un’apprezzabile cura e scienza del movimento; meno comprensibili alcune azioni che sono risultate essere un poco forzate, come la breve lotta armata che si svolge alle spalle di Ferrando durante la seconda parte del suo racconto nel I atto o ancora come il non rapido discendere le lunghe scale del Conte proprio mente Leonora gli si rivolge con “Mira, di acerbe lagrime…”.

Interessante l’intero impianto scenico che si incentra su di un grande girevole il quale permette di dare la dinamicità alla vicenda passando rapidamente da un luogo esterno ad uno interno di questo ambiente da castello-borgo medioevale.
Ottime nel rendere l’atmosfera tetra le luci di Luciano Novelli, anche se proprio nel finale dell’atto I, quando per filo logico le luci dovrebbero essere al minimo, le figure ed i volti sul palcoscenico si potevano chiaramente distinguere tra di loro.
Dal punto di vista prettamente musicale, vengono proposte delle vere eccellenze musicali.
Vittoria Yeo, giovane soprano coreano, ha interpretato Leonora con la forte personalità tipicamente richiesta da un’eroina verdiana, aiutata da una buona presenza scenica, da una sicura proiezione dei suoni e da un ottimo uso di voce di petto nelle note gravi e di interessanti mezze voci in alcuni passaggi, manca spesso nel canto legato, parte comunque sostanziale dello stile di Verdi e del canto italiano in generale.

Marco Berti è stato forse il cantante più discusso della serata: al tenore certo non mancano un volume notevole che riempia la sala scavalcando imponentemente la mole di suono proveniente dal golfo mistico e degli acuti sicuri e squillanti; erano però percepibili una stanchezza vocale, sicuramente frutto di una lunga carriera e di un pesante repertorio, qualche portamento di troppo e un uso piuttosto ristretto delle dinamiche.

Violeta Urmana è stata senza dubbio l’interprete più apprezzata, ricevendo un vero trionfo di pubblico: il personaggio, uno tra i più interessanti e psicologicamente complessi tra le opere verdiane, risulta scenicamente perfetto e centrato, convincente, straziante e appassionato; vocalmente si apprezza un timbro pieno e graffiante, con acuti sempre centrati e con risonanze di petto che rendono le note gravi sonanti ed autorevoli. Merita essere citata come particolare ed aggiuntiva nota di merito la resa di “Condotta all’era in ceppi”.

Massimo Cavalletti è stato un altro interprete d’eccellenza, dal timbro scuro ed elegante e sorretto dal cosiddetto “phisique du role”, unico appunto alcuni acuti meno sonori rispetto al registro medio ed al registro grave.

Molto apprezzato il basso Mariano Buccino nel ruolo di Ferrando cui si è apprezzato il curato fraseggio.
Completano correttamente il cast Marta Calcaterra nel ruolo di Ines, Filippo Balestra nel ruolo di un vecchio zingaro ed Antonio Mannarino nel ruolo di un messo, nota di merito per la bella voce di Didier Pieri nel ruolo di Ruiz.
Ad opera conclusa buon successo di pubblico, in una sala non del tutto gremita.
Stefano Gazzera
Torino, 22 novembre 2019