In occasione della nuova produzione di Rigoletto, in scena al Teatro Comunale “Luciano Pavarotti” di Modena come terzo titolo della Stagione, abbiamo incontrato il M° David Crescenzi, direttore d’orchestra che vanta una carriera internazionale ormai più che ventennale. Fra curiosità e aneddoti e sempre con grande gentilezza e disponibilità, ci ha raccontato un po’ di sé, di alcune tappe del suo ricco percorso artistico e del suo approccio interpretativo alla celebre opera verdiana in scena al “Pavarotti” in questi giorni.

Maestro, per iniziare, le chiedo: qual è stato il suo primo approccio con il mondo della musica e come ha intrapreso gli studi musicali?

Mi sono avvicinato agli studi musicali da bambino, all’età di 10 anni. Vengo da Porto Recanati, nelle Marche, dove esiste una banda locale. Al tempo si organizzavano corsi di orientamento musicale, una cosa molto “alla buona”. Mio nonno conosceva il Maestro della banda, da cui mi portò. Credo che lavorassero insieme in una fabbrica di fisarmoniche a Castelfidardo. Lui era anche maestro di banda, eravamo agli inizi del 1978. Ho iniziato a suonare la tromba e dopo pochi mesi avevo bruciato diverse tappe. A 12 anni, non così presto, ho cominciato lo studio del pianoforte, entrando poi in conservatorio.

Tra le esperienze più importanti della sua carriera vi è stata, per anni, la direzione corale, in Teatri di prim’ordine. Cosa le ha lasciato?

E’ stata fondamentale per ciò che sto facendo adesso. Onestamente non ero, all’inizio, così ambizioso da voler diventare direttore d’orchestra, lo sono diventato quasi per caso. Mi è sempre piaciuto, sarei un bugiardo se non lo dicessi, ma il fatto di entrare in un Ente Lirico e fare il Maestro del Coro, come è stato a Genova, Napoli, Macerata, mi dava moltissima soddisfazione. Lì ho assorbito moltissima esperienza guardando tanti direttori, soprattutto da quelli meno bravi da cui ho imparato ciò che un direttore non deve fare. Poi a un certo punto, proprio a Macerata, durante le prove di un’opera, il direttore ebbe dei contrasti con l’orchestra, mancavano pochi giorni e mi affidarono questa direzione.

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©Florin Artist

Due dei Paesi in cui si è concentrato gran parte del suo percorso sono l’Egitto e la Romania. Ci racconti com’è nato e come si è poi sviluppato il legame con queste terre.

Bella domanda! E’ cominciato tutto con l’Egitto. In Romania ci sono arrivato attraverso l’Egitto. L’attuale direttore artistico dell’Opera di Roma Alessio Vlad, di cui sono molto amico e di cui sono stato allievo al conservatorio, mi aveva mandato a preparare dei cantanti all’Opera del Cairo nel 1998. Da lì cominciò una collaborazione, erano molto contenti del mio lavoro; facevo il vocal-coach, co-dirigevo e preparavo l’orchestra ma non ero proprio un direttore ufficiale. Poi nel 2002 un produttore egiziano organizzò una grandiosa produzione di Aida in Qatar, a Doha, che andai a dirigere. Suonava un’enorme orchestra composta quasi solo dai migliori musicisti dei principali teatri della Romania. Conobbi in quell’occasione il direttore del Teatro di Bucarest, il quale era alla ricerca di un direttore “all’italiana” per far crescere il suo teatro. Mi chiese cosa ne pensassi e io che all’epoca non avevo ancora un grandissimo repertorio alle spalle, decisi di accettare. Così è nata questa collaborazione che ho continuato a portare avanti negli anni. 

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E con l’Egitto com’è finita?

Dopo essermi sposato con una donna egiziana, rientrammo in Italia dove ripresi l’attività di Maestro di Coro senza interrompere i contatti con la Romania. La Primavera Araba del 2011 comportò l’epurazione di tutti coloro i quali erano vicini a Mubarak, tanto dalle istituzioni quanto dal Teatro. Il caso volle che fosse nominata direttore dell’Opera del Cairo una signora che ai tempi in cui dirigevo in Egitto era il Primo Flauto in orchestra. Si ricordava di me e mi propose di lavorare insieme per far ripartire tutto da capo. Così nel 2014, dopo una decina di anni, avvenne la mia nomina a Direttore Artistico che tutt’ora continua. Nel frattempo con il governo al-Sisi lei è diventata Ministro della Cultura e io sono, per dirla alla francese, un suo “protégée”; alla prossima rivoluzione forse anche io dimenticherò l’Egitto (sorride).

Lei ha diretto, nel 2015, un’altra Aida “colossale”, per l’inaugurazione del nuovo Canale di Suez, di fronte a oltre 60 Capi di Stato. Quali difficoltà e quali lati positivi, anche emotivi, le ha suscitato questa sorta di “revival” della Prima del 1871?

Ricordo innanzitutto un aneddoto. Il giorno dopo io dovevo dirigere “La Bohéme” a Macerata. Avevo un aereo alle 3 e mezza di notte dall’aeroporto del Cairo, a circa 150 km da Suez. Fui salvato dalla gentilezza della ministra Mogherini e della sua scorta che mi diedero un passaggio per poter prendere il volo per l’Italia. L’esperienza di quest’Aida fu meravigliosa, l’organizzazione era incredibile, soprattutto per quanto riguarda la sicurezza. Erano presenti Putin, Obama, Macron per citarne alcuni. Come comparse venivano usati i giovani soldati dell’esercito per cui sul palco si muovevano centinaia di persone, davvero incredibile. Ricordo che per motivi di sicurezza fummo costretti ad arrivare sul posto alle 10 di mattina. Ci sequestrarono tutto, eravamo completamente isolati. Il tutto si svolgeva sul Delta del Nilo, all’aperto. Passata la prima nave e cominciati i fuochi d’artificio iniziava l’opera. Una cosa un po’ pacchiana ma tipica di quei Paesi.

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©Nico Cherciu

Venendo a noi: questa è la sua prima direzione a Modena? Come si trova nella terra di Verdi e di grandi cantanti come Pavarotti, che di Rigoletto ha fatto un suo cavallo di battaglia?

E’ la prima volta che vengo a Modena e che dirigo in questo teatro. E’ la terza volta che affronto Rigoletto in Italia e questo è senza dubbio quella più importante, quella che sento dentro e che mi riempie di responsabilità e preoccupazione; ci ho lavorato molto, anche grazie alla direzione del teatro che mi ha permesso di fare quasi un mese di prove, cosa assai rara in Italia, soprattutto in un Teatro di Tradizione. Mi sono trovato benissimo, il direttore artistico Sisillo e il suo staff sono di una competenza unica, si vede che sono qui da tempo e hanno maturato una certa esperienza, un certo standard nella programmazione. La città è incredibile. Mia moglie egiziana per la prima volta ha mangiato tutto, cosa che non fa mai in Italia nonostante sia qui da tanti anni. Siamo rimasti scioccati da una città a misura d’uomo e dalla sua gente, dalla sua disponibilità. Io che sto lavorando da ormai 3 anni a Düsseldorf in Germania, posso dire che ho trovato qui finalmente quell’Italia che funziona e che vorremmo tutti. 

Rigoletto: dal punto di vista musicale è un’opera che nel tempo ha accumulato tutto un bagaglio di invenzioni e creazioni dovuti ad una tradizione su cui si discute molto (acuti, tagli, puntature etc…). Dal punto di vista teatrale si dice che qui Verdi abbia fatto un lavoro sulla caratterizzazione dei personaggi e sul rapporto tra essi e la musica che ha raggiunto vette di perfezione inarrivabili, paragonabili a Mozart. Qual è la sua visione, la sua cifra interpretativa e la sua sensibilità in merito a questi due aspetti?

Innanzi tutto ti faccio i complimenti perché per la tua giovanissima età avere una preparazione del genere è solamente un incoraggiamento a fare di più per il pubblico italiano e per i ragazzi come te. Sappiamo che Rigoletto, con Trovatore e Traviata sono quelle opere di cui si è detto, fatto e inventato di tutto. Io cerco di accontentare il “purista”, quello che viene dalla scuola di Muti. Muti vuole ciò che ha insegnato a noi, io lo prendo come esempio, è un grande interprete e io assolutamente devo ispirarmi a lui come ai direttori del passato. Quindi io farò ciò che ci è stato insegnato, ovvero rispettare la scrittura musicale. Non ci saranno tagli di tradizione che ancora oggi fanno in grandi teatri, l’opera scorre bene, così come non ho tagliato le cadenze originali che verranno eseguite tutte. Però io penso anche al pubblico. Siccome io non sono Muti, lui se lo può permettere di fare “La donna è mobile” senza la fermata dell’orchestra perché nessuno lo contesterebbe. Visto che è Muti può farlo, io no. Potrei essere contestato io come potrebbe essere contestato il tenore. C’è quella parte di pubblico che viene all’opera per la prima o seconda volta e conosce solo alcune cose, che aspetta. Così come aspetta “Bella figlia dell’amore” perché l’ha visto nel film “Amici miei-Atto II”. E’ quindi giusto rispettare anche queste persone. Io la vedo così, sarò manierista, sarò uno scontato ma io non cerco i favori di nessuno, a me piace. Le puntature abbiamo deciso di farle, escluse quelle più gratuite, come quella del monologo “All’onda, all’onda” che Marco Caria ha scelto di non fare. Sulla parte interpretativa, come hai detto tu, con Rigoletto Verdi si è superato. Insieme a Macbeth e da Don Carlo in avanti, Rigoletto è il Verdi che conosciamo tutti. Se sia autobiografico o no non lo sappiamo. Io spero che il pubblico possa capire che ho cercato di utilizzare un dialogo tra l’orchestra e ciò che succede sulla scena. Lo abbiamo fatto anche con la regia e abbiamo cercato insieme delle soluzioni in modo da poter realizzare una continuità durante il corso della lettura.

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Come si trova con questo cast?

E’ un bel gruppo. Quelli che ascolterete sono Marco Caria che sta facendo una carriera incredibile, Daniela Cappiello che ha cantato Rigoletto a Parma è ormai lanciatissima. Il tenore Marco Ciaponi è già stato alla Scala, farà Falstaff con Luca Salsi.

Per concludere: il mondo dell’opera oggi come può vincere la sfida dei tempi e continuare a essere vivo e attrattivo per i giovani, secondo lei?

Secondo me il primo obiettivo è andare nelle scuole. Andarci con un soprano, un baritono e un pianista che alle 11 di mattina permettono ai ragazzi di distrarsi e stare al cellulare non serve a nulla. Ci vuole un percorso che dovrebbero fare prima di tutto gli insegnanti. I ragazzi andrebbero coinvolti soprattutto nelle scenografie, nei costumi, nel canto, non solo nella guida all’ascolto. Il progetto dell’AsLiCo ad esempio è ottimo. Fargli cantare il “Va’ Pensiero” e poi portarli a teatro e coinvolgerli come spettatori e interpreti è il primo passo. Se su 300 ragazzi 10 proseguono, sarà il pubblico del futuro. E poi servirebbero regie fresche. Non come ho fatto recentemente in Germania con una Gilda che arriva in astronave. Regie fresche significa regie attuali ma con un senso. Questo può avvicinare i giovani.

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I suoi prossimi impegni?

Il 20 dicembre eseguirò il Requiem di Verdi con la Filarmonica della Radio di Bucarest, poi Tosca all’Opera del Cairo a fine gennaio. Seguiranno La Fille du Régiment alla Deutsche Oper am Rhein di Dusseldorf e il mio debutto al Musikverein di Vienna con la Fondazione Orchestra Regionale delle Marche, il prossimo 28 marzo.

Grazie mille per il tempo che ci ha concesso e “in bocca al lupo!”

Grazie a voi!

Grigorji Filippo Calcagno

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