Puccini vince sempre: questa è la conclusione a cui siamo portati all’ultima meta del Viaggio in Italia della Fondazione Arena di Verona. La rassegna che ha accompagnato il pubblico veronese durante l’autunno 2019 ha infatti avuto il suo approdo finale in una nuova produzione di “Madama Butterfly” realizzata in collaborazione con il Teatro Nazionale di Zagabria. Uno spettacolo felice grazie alla regia suggestiva di Andrea Cigni, che lega la vicenda al concetto di “Ikigai”, ossia trovare una ragione per cui vivere, un amore che il destino ti porta a vivere per ritornare ad essere solo un’anima. E’ un concetto non lontano dalla catarsi intesa in senso pitagorico, ossia come morte che purifica e libera l’anima dai vizi e dai mali interiori e dall’irrazionalità delle passioni (che per Pitagora per altro avviene attraverso la musica). Non manca la poetica delle piccole cose, da non confondersi con quella pascoliana, ma intesa come l’esaltazione della semplicità dell’anima di Butterfly, il suo vivere d’amore, la sua idealizzazione di Pinkerton, che passa anche attraverso il piccolo “Dolore” vestito con una T-shirt di Superman e con un pupazzo del supereroe che è diventato icona del Made in USA.

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©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

Emerge lungo tutto lo spettacolo la profonda solitudine in cui Cigni immerge Cio Cio-san, che trova il suo momento apicale nel finale, nel quale la fanciulla compie il rituale dell’Oshiroi, il trucco delle geishe, applicando questo fondotinta bianco a cui si sovrappone un pigmento rosso intorno agli occhi e il Kyo beni e si conclude indossando una parrucca. Questa cerimonia segna il passaggio da donna a divinità e sacerdotessa dell’arte.

Nella costruzione di questo simbolismo Cigni è supportato dalle scene di Dario Gessati, che avvolgono la vicenda della piccola Butterfly in un candido bosco di betulle che nel II atto si puntella di fiori rossi come il sangue. Emozionante il video che si proietta durante il coro a bocca chiusa, il sogno d’amore di Butterfly che si vede tra le braccia del suo Pinkerton. Essenziali ma profondamente efficaci i costumi di Valeria Donata Bettella. Centrato anche il disegno luci di Paolo Mazzon.

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©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

Non è mancata neppure la qualità musicale grazie alla direzione di Francesco Ommassini, in grado di far risaltare sia la profondità teatrale della musica puccinina che il suo affascinante sinfonismo fatto di mille abbaglianti colori, di respiri, di grandi arcate di suono intense e pregnanti. A suo merito va anche quello di aver saputo gestire anche qualche scollamento con il palcoscenico in modo impeccabile. Brillante la prova dell’orchestra così come magnifica è parsa la prestazione del coro diretto da Vito Lombardi.

Nei ruoli di fianco ben si comportavano Manuela Schenale (Cugina di Cio Cio-San), Sonia Bianchetti (Madre di Cio Cio-San), Maurizio Pantò (L’Ufficiale del registro) e Salvatore Schiano di Cola (Il Commissario imperiale). Puntuale Nicolò Rigano come Principe Yamadori, Christian Saitta nei panni dello Zio Bonzo e Lorrie Garcia come Kate Pinkerton.

Eccellente il Goro di Marcello Nardis, dotato di accento vario ed insinuante come si conviene al personaggio e di presenza scenica dinamica e sapiente.

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©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

Mario Cassi nel ruolo di Sharpless mette in luce la sua vocalità rotonda, bella, che si espande senza problemi nelle frasi liriche e pregne di significato che Puccini regala a questo personaggio. Magistrale l’attacco piano dolce (Puccini scrive) di “Io so che alle sue pene…” che grazie a lui risulta uno dei momenti più riusciti della recita.

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©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

Manuela Custer è la Suzuki ideale, e non esageriamo se la definiamo interprete di riferimento di questo ruolo. Lo è grazie alla vocalità sempre importante, capace di dare peso ad ogni accento e ogni respiro, ma lo è soprattutto per la sensibilità di cui infonde il suo personaggio, venato di tenerezza e di una grandezza interiore difficilmente descrivibile. E’ specchio di questo anche la sua presenza in scena fatta di sguardi pieni d’amore infinito e gesti delicati come l’anima del suo personaggio.

Valentyn Dytiuk è un Pinkerton dotato di bella voce da tenore lirico non dotata di volume strabordante, che riluce nel registro acuto. Il personaggio tuttavia non sembra mettere in evidenza le sue qualità migliori, pur se lodiamo delle intuizioni di fraseggio e la spiccata volontà di colorare le frasi più liriche con abbandono. Scenicamente non pare determinante ed incisivo, mettendo in evidenza una certa insicurezza che mina il ritratto di un personaggio che certo non manca di sicurezza.

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©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

Yasko Sato si mette in evidenza per una vocalità importante che trova il suo momento migliore nel finale dell’opera. Desidereremmo da lei soltanto una cura più profonda della linea e soprattutto degli accenti. Anche scenicamente è una protagonista convincente, ma non riesce ad essere mattatrice e catalizzatrice assoluta.

Alla fine un vivissimo successo da parte di un teatro finalmente gremito e plaudente.

Francesco Lodola

Verona, 15 dicembre 2019

Un pensiero riguardo “L’ETERNITÀ DI UN’ANIMA: MADAMA BUTTERFLY AL TEATRO FILARMONICO DI VERONA

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