Dicembre è senza dubbio il mese più adatto a rappresentare il capolavoro pucciniano: prima di entrare a teatro, camminando tra le piazze, i caruggi ed i negozi di una Genova illuminata a festa, ci si immerge in quella tipica atmosfera sognante che poi almeno in parte ci si aspetta di incontrare sul palcoscenico con una Parigi innevata e con la spensieratezza dei giovani bohémien.

Piacevolmente incuriositi, fin dall’ingresso in sala, dal vistoso e colorato sipario opera di Francesco Musante, si intuisce senza particolare difficoltà che la messa in scena a cui si sta andando incontro non sarà all’insegna della classicità, senza per questo stravolgere le linee guida del libretto.

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©Marcello Orselli

Il regista Augusto Fornari ha voluto infatti ricreare una Bohème marcatamente fiabesca, come uscita da un film della Disney, a cominciare dai colori e dalle forme delle scene e dei costumi di Francesco Musante e dalle luci di Luciano Novelli, fondamentali poi alcune trovate registiche come il passaggio a scena aperta tra il primo ed il secondo quadro con un figurante che, inscenando l’azione di caricare un grande carillon, da vita al movimento del girevole che ruotando la scena rivela il caffè Momus (salutato dagli applausi di un pubblico fanciullescamente sorpreso e compiaciuto), o ancora come l’onirica uscita di scena dei due teneri amanti alla fine del terzo quadro, accompagnato da una pioggia di petali gettati da alcuni figuranti-curiosi cittadini affacciatisi dalle finestre dei palazzi, incuriositi dalle urla della litigiosa coppia  Musetta-Marcello. Tutta questa atmosfera così fortemente, e forse a tratti forzatamente, cartonata ha però il pregio di rendere ancora più cruda, tagliente e contrastante la realtà della malattia e della morte della protagonista.

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©Marcello Orselli

Musicalmente la celebre partitura non è mai ridotta ad una mera melodrammaticità, merito di un’Orchestra di altissimo livello e del giovane Maestro Andrea Battistoni che plasma la mole di suono fino a far percepire le molte sfumature marcatamente umane che caratterizzano i personaggi di questo pilastro del “naturalismo” (se lo vogliamo definire tale), senza dimenticare quel prezioso, quanto raro nel mondo dell’opera, silenzio in cui la morte appare su Mimì. 

Delizioso sia vocalmente sia scenicamente il Coro ed il Coro di Voci Bianche del Teatro Carlo Felice, coi rispettivi Maestri Francesco Aliberti e Gino Tanasini.

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©Marcello Orselli

I protagonisti si rivelano ottimi interpreti, a cominciare da Rebeka Lokar: il giovane soprano sloveno dalla voce morbida e rotonda e dai bellissimi filati, sempre curata nell’utilizzo delle dinamiche e nel fraseggio pucciniano, ha vocalmente sicuramente tutte le carte in regola per un’ottima Mimì e se scenicamente la “gaia fioraia” risulta ancora non del tutto delineata e convincente, sicuramente non bisogna dimenticare che l’artista è al debutto nel ruolo.

Stefan Pop è un Rodolfo di pregio, il tenore rumeno vanta un timbro di assoluta bellezza, un buon volume in tutti i registri e degli acuti sicuri, centrati e squillanti; scenicamente risultava a tratti forse impacciato, ma sicuramente alcune scelte registiche ed i costumi in primis, non lo hanno aiutato nella costruzione del suo personaggio.

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©Marcello Orselli

Marcello è stato interpretato dal baritono Michele Patti, ottimo professionista ed interprete garbato e completo. Convince scenicamente la Musetta di Lavinia Bini, ma non risulta vocalmente del tutto inappuntabile: la voce è sonora e ben proiettata, ma i suoni non sono sempre pulitissimi. Molto bella la voce del basso Romano Dal Zovo, Colline di classe.

Completano correttamente e con preziosa freschezza e simpatia lo Schaunard di Giovanni Romeo e il Benoît e l’Alcindoro di Matteo Peirone.

Al termine della serata, preziosi i fazzoletti rapidi ad asciugare gli occhi lucidi e calorosi applausi per gli interpreti di questa colorata Bohème genovese.

Stefano Gazzera

Genova, 22 dicembre 2019

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