Carmen o Carmèn che dir si preferisca è l’opera francese senza dubbio più conosciuta nel mondo, nonchè la più famosa del compositore parigino.

Il successo ottenuto egli mai potè conoscere in vita, essendo venuto a mancare appena tre mesi dopo una deludente prima rappresentazione assoluta, avvenuta il 3 marzo 1875, all’Opéra-Comique di Parigi.  Da quel dì tanto è cambiato sulle sorti di questa meravigliosa partitura; Richard Strauss arrivò a raccomandarla agli allievi per imparare la strumentazione e cosa significasse orchestrare, e recentemente Operabase l’ha posizionata seconda nella classifica delle opere più rappresentata dopo La Traviata di Verdi e prima del Zauberflöte di Mozart. Come sempre i rischi maggiori quando si va incontro alla messa in scena di titoli e melodie così largamente conosciute risiedono proprio nella difficoltà di cadere in spettacoli insensatamente innovativi nel tentativo di dare una ventata di modernità o polverosi nell’intento di rispettare il rigore della classicità.

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©Edoardo Piva/Teatro Regio di Torino

Questo spettacolo sabaudo, con allestimento del Teatro Lirico di Cagliari, regia di Stephen Medcalf, scene e costumi di Jamie Vartan, coreografie di Maxine Braham e luci di Simon Corder viene ambientato in un non meglio specificato novecento spagnolo; l’impianto scenico è spoglio e semplice ha indubbiamente il pregio di rimanere fedele alla trama, prendendosi sì alcune libertà, ma senza per questo stravolgere il libretto, ciononostante si fatica a percepire quella famosa passione bollente tanto ricercata in quest’opera e non meno importante manca il punto che riesca a sostenere e spiegare il significato di questa trasposizione temporale, lasciando così un senso di inadeguatezza e insoddisfazione.

Una parte del merito, o meglio demerito, per quanto scritto qui sopra riguardo alla mancanza di quella famosa passione, di quel fuoco che è Carmen, è da ricondurre indubbiamente all’orchestrazione ad opera del Maestro Giacomo Sagripanti, alla guida dell’Orchestra del Teatro Regio di Torino, seppur sempre attenta e precisa nelle dinamiche, nella pulizia dei suoni e nell’equilibrio tra golfo mistico e palcoscenico; i tempi a volte forse troppo dilatati e i colori spesso troppo poco caldi hanno contribuito, assieme all’aspetto scenico già citato, alla notevole mancanza.

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©Edoardo Piva/Teatro Regio di Torino

Unico punto veramente impeccabile il Coro del Teatro Regio di Torino diretto dal Maestro Andrea Secchi ed il Coro di voci bianche del Regio e del Conservatorio “G. Verdi” di Torino diretto da Claudio Fenoglio.

Per quanto riguarda i solisti, la compagnia di canto risulta omogenea dal punto di vista vocale, a cominciare dalla Carmen di Martina Belli, già impegnata nel secondo cast e chiamata a sostituire nell’ultima recita l’indisposta Varduhi Abrahamyan.

La Belli è un mezzosoprano dalla voce di velluto, delicata e sensuale, curata nel fraseggio e nell’ottima pronuncia del francese, omogenea in tutti i registri e nei passaggi e sorretta da un’autentica bellezza che in pochi altri ruoli tanto può giocare a favore.

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©Edoardo Piva/Teatro Regio di Torino

Don José è stato interpretato dal tenore Andrea Carè con invidiabile sicurezza scenica e con un ottimo gusto nel fraseggio, vocalmente preciso e corretto, gli si perdonano alcuni acuti leggermente spinti, ma comunque sempre centrati.

I panni della dolce e tenace Micaëla sono stati indossati dal soprano Marta Torbidoni, cui si sono apprezzati il volume notevole per il ruolo, la correttezza vocale con cui si è professionalmente esibita e sopratutto la completezza nel dar vita al carattere di un personaggio spesso psicologicamente sottovaluto, ma di fondamentale importanza all’interno della vicenda.

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©Edoardo Piva/Teatro Regio di Torino

Lucas Meachem ha interpetato il torero Escamillo con l’eleganza ed il fascino sia scenico sia vocale che devono contraddistinguere il ruolo, con sicurezza ed omogeneità nell’emissione e nel canto sempre sul fiato, ma con una voce che personalmente apprezzerei in un repertorio belcantista, dove sarebbe forse meno sprecato.

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©Edoardo Piva/Teatro Regio di Torino

Scenicamente convincenti, ma a tratti vocalmente insufficienti i soprani Sarah Baratta ed Alessandra Della Croce rispettivamente nei ruoli di Frasquita e Mercédès.

Discrete le numerose parti comprimarie, a cominciare dallo Zuniga del basso Gianluca Breda, continuando col Moralès del baritono Costantino Finucci, col Dancaïr del baritono Gabriel Alexander Wernick, col Remendado del tenore Cristiano Olivieri, con una venditrice del contralto Laura De Marchi e terminando con uno zingaro del baritono Marco Tognozzi.

Apprezzabili gli attori Aldo Dovo come Lillas Pastia, Marcello Spinetta come Andrès, e Giulio Cavallini come una guida.

A fine spettacolo ci si può ritenere sicuramente soddisfatti per una Carmen ben eseguita, che sarebbe però potuta essere ancor più apprezzata se fosse emerso quel tanto desiderato fuoco che avrebbe aggiunto alla recita più passione.

Stefano Gazzera

Torino, 22 dicembre 2019