“I Capuleti e i Montecchi”, la terza opera della stagione romana dopo “Les Vespres siciliennes” e “Tosca”, non è propriamente un’opera di repertorio, soprattutto al Teatro Costanzi, dove è stata, infatti eseguita soltanto tre volte nel 1967, nel 1979 e nel 2004. È significativa all’interno di questa stagione 2019-20, poiché è l’unico titolo di puro belcanto, e poiché segna il ritorno, dopo circa trenta anni, di Daniele Gatti in questo repertorio che ha segnato l’inizio della sua carriera.
Le aspettative erano piuttosto alte: si trattava di una nuova produzione del Teatro, e il cast presentava nomi di prim’ordine. Se, però, le aspettative vocali sono state più che ampiamente soddisfatte, se non, addirittura, superate; l’allestimento e la regia non hanno convinto appieno.

Iniziamo da questo ultimo punto, la regia era affidata a Denis Krief, il quale ha curato, altresì, le scene, le luci e i costumi. La scena era sempre la stessa, con alcune modifiche nei diversi momenti dell’opera, dei colonnati in legno che creano una piazza/zona franca attraversata da del filo spinato; nella scena di Giulietta la piazza diventa la sua stanza con lunghi tendaggi bianchi ed un abito da sposa, infine nella scena della morte dei due amanti diventa una cappella, su cui troneggia una enorme croce. Le parole che vengono in mente, pensando a queste scene ed ai costumi, sono impersonali e spogli. Ciò non rappresenterebbe neppure un problema se ci fossero “a riempire” delle soluzioni sceniche nei movimenti dei personaggi e del coro, che invece risultavano slegati dal libretto, e dunque dalla parola pronunciata, vera chiave di qualsiasi opera belcantista. Unica eccezione in questa piattezza scenica è rappresentata dalla scena di Giulietta, in cui le doti attoriali di Mariangela Sicilia, di cui a breve parleremo, e il dinamismo creato dai tendaggi bianchi smossi dal vento hanno creato un’increspatura di pathos, in una regia altrimenti segnata da una eccessiva staticità.

Sul versante musicale e vocale, invece lo spettacolo è stato un successo meritatissimo, innanzitutto a partire dalla direzione musicale del maestro Daniele Gatti, il quale è attentissimo alla partitura e al rispetto dei colori e delle dinamiche, guidando così l’orchestra del Teatro dell’Opera in una gamma cromatica assai interessante ed ampia. Stesso elogio va al Coro, brillantemente preparato dal maestro Roberto Gabbiani.
Per quanto riguarda la compagnia di canto, troviamo nei panni di Romeo Vasilisa Berzhanskaya, giovanissima mezzosoprano, la quale si distingue immediatamente per una voce molto omogenea ed estesa, che sa passare senza artificiosità da un vigoroso registro di petto, che ben si addice ad un ruolo in “travesti”, ad un registro acuto pienissimo e tagliente.

Nei panni di Tebaldo, l’altro pretendente di Giulietta, troviamo Ivàn Ayòn Rivas, tenore giovanissimo, già noto al pubblico romano, il quale possiede uno splendido timbro tenorile, ricchissimo nel registro acuto dove il suo squillo naturale trova spazio e ampiezza per librarsi. Nonostante la voce sia grande, si muove con sicurezza nelle agilità che il ruolo richiede. Il ruolo di Lorenzo è stato interpretato dal basso Nicola Ulivieri, il quale ha saputo dare rilevanza ed autorevolezza al suo ruolo, che pur nella sua brevità, è personaggio fondamentale nella vicenda. Il ruolo di Cappelio è stato impersonato da Alessio Cacciamani, il quale pur possedendo una voce dotata di bellissimo timbro e molto sonora, non sempre possedeva l’autorevolezza che il padre di Giulietta deve sempre mantenere in scena.

Infine, meritatissime sono state le ovazioni che il pubblico romano ha tributato al soprano Mariangela Sicilia, interprete di Giulietta. Il ruolo sembra intessuto su misura per la sua voce, calda, luminosa e con una emissione sempre precisa. Arrivati a fine serata, ha fatto sorridere il ricordo dell’annuncio, prima dell’inizio della recita, di una sua indisposizione, di cui non si è vista traccia grazie alla sapienza di una artista vera e completa, e molto amata a Roma. Magnifica nella famosa aria “Eccomi in lieta vesta…Oh! quante volte, oh! quante”, per tutta l’opera ha saputo usare il suo strumento in ogni sfumatura vocale possibile, dai pianissimo e i filati magistrali, ai momenti di pathos con Romeo, inserendosi, a buon titolo, fra le interpreti ideali del ruolo.
Dunque, vista la magnifica compagine vocale, dispiace ancor di più per alcune scelte riguardo l’aspetto visivo. Ma nonostante tutto il pubblico ha decretato alla serata un grande successo.
Paolo Mascari
Roma, 26 gennaio 2020