Oltre trent’anni: da tanto ormai mancava l’Adriana Lecouvreur a Genova, quando venne rappresentata nel 1989 al Teatro Regina Margherita, allora unico sede, nella città superba, di rappresentazioni liriche; da lì a pochi anni sarebbe stato inaugurato il ricostruito ed attuale Teatro Carlo Felice, dove prima d’ora non fu dunque mai rappresentato il capolavoro per eccellenza di Cilea.
Un debutto importante dunque, per un titolo troppo spesso poco rappresentato ed apprezzato, ma che con questo allestimento, firmato As.Li.Co., ha sicuramente saputo convincere il pubblico e riscattare il lavoro del Maestro, legato alla Liguria ed alla vicina cittadina Varazze, di cui venne nominato cittadino onorario.

La regia, le scene ed i costumi portano il nome di Ivan Stefanutti, a cui va il gran merito di aver creato uno spettacolo raffinato, di assoluta eleganza nei costumi e nelle scene semplici e lineari, nei movimenti degli artisti sul palcoscenico e nell’idea, salda e ben sviluppata, di trasporre la vicenda a cavallo del Novecento, in piena Belle Époque, in un’epoca in cui le dive del cinema muto avevano un valore forte, comunitario e riconosciuto, in misura forse leggermente diversa, ma sicuramente non inferiore alle dive della Comédie Française. Un allestimento in “bianco e nero” che risalta la passione della vicenda, come dice Stefanutti “… nel momento in cui muore la persona, nasce il mito leggendario della diva straordinaria che non morità mai e avrà sempre più colori di quanti ne aveva nella vita.” e tutto ciò ben traspare dal lavoro del regista udinese.

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©Marcello Orselli

Per quanto riguarda il versante musicale l’Orchestra del Teatro Carlo Felice, diretto dal Maestro Valerio Galli, ha dimostrato di essere perfettamente in linea con l’idea registica, in una musicalità estremamente elegante, pulita e raffinata, molto ben eseguita, ma forse talvolta leggermente carente di quel guizzo di brillantezza utile nei momenti più leggeri ed a tratti comici dell’opera, come nei battibecchi tra Pricipe ed Abate o nelle amare considerazioni sulla propria vita sentimentale di Michonnet.

Corretto il Coro del Carlo Felice, istruito dal Maestro Francesco Aliberti

Passando ai solisti, iniziamo dunque da una splendida Barbara Frittoli, ritornata sul palcoscenico del Carlo Felice nel ruolo del titolo, dopo un’assenza che durava dal Simon Boccanegra del 2015. Il ben noto soprano, con alle spalle una lunga e lodevole carriera in un repertorio certamente non leggero, conserva ancora invidiabili la bellezza di un timbro caldo e rotondo e la maestria nel legare i suoni, riuscendo, complici indubbiamente tecnica ed esperienza, a far fronte ai passaggi più impervi della partitura anche con una voce che ha inevitabilmente perso un po’ di freschezza. Ciò che però veramente riesce a catturare ed entusiasmare il pubblico è senza dubbio l’interpretazione di un’artista che ha saputo fare del fraseggio il suo punto di forza, scolpendo ogni parola con coscienza, passione, sensualità ed eleganza e risolvendo i temibili declamati con la drammaticità ed il senso della misura da vera diva, senza mai cadere in volgari e goffe esagerazioni e sempre mantenendo viva tensione ed autorevolezza.

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©Marcello Orselli

Marcelo Álvarez è il Conte di Sassonia Maurizio; il tenore argentino, anch’egli artista d’importantissima carriera, sempre ha saputo e tutt’ora sa distinguersi per una voce di rara bellezza, squillante e scura al tempo stesso, facile agli acuti, che ancora mantiene incredibilmente intatti, sicuri ed a fuoco e nel quale emerge tutta la passione per il suo mestiere; tuttavia si nota qualche difficoltà nel canto legato, inficiando così parzialmente il fraseggio.

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©Marcello Orselli

Molto buona la prestazione del mezzosoprano Judit Kutasi nei panni di una spietata Principessa di Bouillon, scenicamente e vocalmente sicura e convincente, complice un timbro scuro (forse a tratti scurito) e una presenza scenica importante.

Apprezzatissimo anche il Michonnet di Devid Cecconi, baritono dal bel timbro, dal fraseggio curato e dall’ottima interpretazione, paterna e rassicurante, che lascia trasparire quel pizzico di incertezza sentimentale.

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©Marcello Orselli

Corrette le numerose parti di fianco, con particolare nota di merito per il Principe di Bouillon Federico Benetti e per l’Abate di Chazeuil Didier Pieri, proseguendo poi con le Mademoiselle Jouvenot e Dangeville, rispettivamente Marta Calcaterra e Carlotta Vichi, con il Quinault John Paul Huckle, con il Poisson di Blagoj Nacoski, e con un maggiordomo di Claudio Isoardi.
Bravi i danzatori Michele Albano, Ottavia Ancetti e Giancarla Malusardi che hanno danzato sulle coreografie di Michele Cosentino.

Nel complesso uno spettacolo più che convincente, ampiamente apprezzato dal pubblico, in una serata in memoria della grande Mirella Freni.

Stefano Gazzera

Genova, 12 febbraio 2020