Biagio Pizzuti si sta rapidamente affermando come una delle voci italiane di baritono più importanti e richieste. In questi giorni l’artista di Salerno ritorna al Teatro Filarmonico di Verona nel ruolo di Taddeo de L’Italiana in Algeri. Pizzuti si è fatto già apprezzare nella città scaligera per le sue interpretazioni areniane e per il suo brillante Leporello nel Don Giovanni inaugurale della scorsa stagione invernale, e in occasione di questo impegno rossiniano abbiamo avuto il grande piacere di intervistarlo.
Partiamo dalle origini del tuo percorso come cantante e come artista…
Ho iniziato il mio percorso nel mondo della musica come pianista, iniziando a studiare pianoforte per caso all’età di sei, sette anni dopo la morte di mio padre. Sono successivamente entrato in conservatorio per pianoforte e composizione e uno dei maestri con cui lavoravo notò che avevo un’ottima prima vista e mi indirizzò verso il ruolo dello spartitista, maestro accompagnatore. Io, come tutti i classici pianisti non amavo molto i cantanti, però grazie a questo maestro, Antonello Mercurio, che era direttore del coro di voci bianche del Teatro Verdi di Salerno, la mia città, ebbi la possibilità a sedici anni di vedere la mia prima opera, La Bohème. Andai a sentire qualche prova e suonai anche, e fu amore a prima vista e ascolto. Ho cominciato dunque a fare il ripassatore nelle classi di canto e ad essere molto richiesto dagli studenti di canto proprio per la mia facilità di lettura. Verso i diciannove anni lavoravo già in teatro e ci fu un’audizione per la Musetta di Bohème e casualmente mi misi a cantare la parte di Alcindoro, così per gioco, e un maestro si avvicinò consigliandomi di studiare canto. Io non ci feci molto caso, ma durante l’estate mi preparai molto blandamente per sostenere l’esame di ammissione al corso di canto al conservatorio. Preparai due arie: O leggiadri occhi belli e Cortigiani, vil razza dannata. Mi presero per pazzo e quando io chiesi cosa volessero sentire dissero ovviamente l’aria di Rigoletto, però ci fu un maestro, il tenore Claudio Di Segni che intravide delle potenzialità e che dunque mi accolse nella sua classe di canto chiedendomi di fare anche da pianista accompagnatore per gli altri studenti. Ho cominciato quindi i miei percorsi di studio inizialmente in un repertorio che era quello del basso-baritono, vista la mia facilità nella zona grave. Ho successivamente avuto la fortuna di conoscere Cinzia Forte che insegnava nel mio conservatorio, ma con la quale io non avevo avuto modo di studiare. Ci fu poi una mia amica, il soprano Daniela Cappiello (che sarà Elvira nell’Italiana in Algeri qui a Verona) che mi chiese un giorno di accompagnarla al pianoforte per la lezione: io andai, suonai e poi alla fine della lezione incoraggiato da Daniela cantai per la maestra. Subito dopo lei mi mise in contatto con la sua agenzia perché riteneva fossi assolutamente interessante e già pronto per iniziare la carriera. Le sarò sempre grato. Ho iniziato da quel momento a fare la mia carriera, anche con un po’ di ingenuità: Gianni Schicchi (nel ruolo di Betto) al Theater an der Wien con la regia di Michieletto, al Festival di Salisburgo con una parte piccola ma accanto a Ludovic Tézier, Sophie Koch, diretti dal Maestro Vladimir Fedoseev. Mi sono tuffato in questo mondo quasi in modo casuale, sempre portato dal destino come dico io. Il mio non è un percorso simile a quello di tanti che hanno studiato fin da subito perché volevano fare i cantanti, e infatti mi porto ancora oggi, ogni tanto, il retaggio della tensione dei pianisti: più che la gola fredda, ho le mani fredde, come tutti i pianisti!
Recentemente sei tornato a Salerno con La Bohème, nel ruolo di Schaunard…un ritorno alle origini…
Sì, anche questa Bohème è sembrata rientrare nei piani del destino, perché ho fatto il mio debutto nella mia città, Salerno, con la prima opera che ho sentito nella mia vita, diretto dal Maestro Daniel Oren e con un grande cast: Massimo Cavalletti, Hasmik Torosyan, Valentyn Dytiuk e Carmen Giannattasio. Bohème è un’opera che adoro e Schaunard un ruolo meraviglioso. Ho già cantato anche Marcello e penso nel futuro mi dedicherò più a questo personaggio, ma Schaunard è anch’esso un ruolo che ha ampi spazi per il canto brillante e che dà modo di emergere in maniera soddisfacente. E’ un’opera in cui si deve fare il gioco di squadra. Sono felice sia andata bene e sono ancora più felice di essere stato richiamato anche per la prossima stagione, nella quale canterò Dulcamara ne L’elisir d’amore sempre diretto dal Maestro Oren, che è un direttore straordinario che ama i cantanti. La prima volta che ho lavorato con il maestro è stata proprio a Verona, dove in Arena facevo la copertura del Don Bartolo in un cast stellare. Io in quello stesso periodo partecipai al Concorso di canto lirico di Portofino che vinsi e durante le fasi del concorso mi chiamarono da Verona perché ci fu un problema con il baritono che doveva cantare il ruolo e io andai a fare le prove di regia canticchiando. Sentendomi il maestro Oren si incuriosì e mi fece un’audizione informale alle dieci del mattino con Cecilia Gasdia al pianoforte, che cercava di mettermi a mio agio chiedendo al maestro di farmi partire dal duetto o dal finale, mentre invece il maestro che è notoriamente esigente (giustamente) mi chiese di partire proprio con l’aria (ride). Lui apprezzò e feci successivamente tutte le prove di quel Barbiere compresa la prova all’italiana e fu il primo passo per lavorare insieme. Cantai l’aria e Furlanetto insieme a Nucci furono molto contenti e riportarono i loro entusiasti pareri al maestro Oren. In quel momento iniziò anche un bellissimo rapporto con l’orchestra e con il coro dell’Arena. Feci anche gli assiemi in Arena di quel Barbiere, una cosa importantissima per me e che sicuramente mi ha aiutato nel conquistare la fiducia di questo straordinario teatro.
Parliamo invece del tuo Taddeo e di questo ritorno a Rossini dopo del repertorio sicuramente stilisticamente diverso…
Rossini è un autore che non ho mai abbandonato e che mi trovo a frequentare saltuariamente ancora oggi, anche se non ho quella leggerezza che oggi è richiesta per questo repertorio: per esempio non canto il Figaro del Barbiere, perché oggi si vogliono voci più chiare e più sciolte nella coloratura in questo ruolo…oggi come oggi forse anche una voce straordinaria come quella di Ettore Bastianini non verrebbe richiesta per Figaro. Tuttavia questo è un repertorio che mi diverte molto, soprattutto quando c’è uno spettacolo in cui ci si può divertire e un cast con il quale poter avere un’interazione avvincente. Rossini è come il meccanismo di un orologio svizzero dentro il quale però ci si può e CI si deve divertire tutti insieme. Ho cantato anche Don Profondo e Don Alvaro de Il viaggio a Reims. Mi piacerebbe cantare un Prosdocimo o un Don Geronio (possedendo anche la zona grave) ne Il turco in Italia. Vorrei però evitare di cantare troppo Rossini, il canto sillabato tende a diventare scomodo, anche fisicamente, quando si affrontano anche repertori più cantabili. Sento di dover fare attenzione ai ruoli che scelgo, anche in base al contesto in cui dovrei affrontarli, mi piacerebbe molto però cantare al ROF visto che ancora non l’ho fatto, pur non volendo essere etichettato come rossiniano, anche perché non ne ho le tipiche caratteristiche e questo è evidente subito se si ascolta la mia voce. In questo periodo sto studiando anche l’aria di Guglielmo Tell, “Sois immobile”, che non è un ruolo che affronterò subito ovviamente, ma andando sempre più verso ruoli cantabili questo rappresenta uno degli obiettivi che mi sono prefisso, essendo nel mezzo tra i ruoli da baritono lirico e quelli verdiani che sono certamente il sogno per ogni baritono. Tornando a Rossini, proprio tra le recite di questa Italiana partirò per Berlino per il mio debutto alla Deutsche Oper con il Bartolo del Barbiere.
Ultimamente però ti sei dedicato anche al Barocco, con le incisioni di Serse (Deutsche Grammophon – vincitrice di un premio Abbiati per la discografia) e Agrippina (ERATO)…
Per me il Barocco è un territorio nuovo, al quale sono arrivato casualmente. Per l’incisione e il tour promozionale di Serse cercavano una voce baritonale più “presente” rispetto alle classiche voci dei cantanti barocchi che interpretano il ruolo del servo Elviro, una sorta di proto-Leporello secondo me. Quando mi sentirono trovarono la mia voce assolutamente adatta alla loro visione del personaggio e all’idea che le ariette che lui canta debbano essere ripulite da facili effetti espressivi poco eleganti. Mi sono trovato accanto a grandissimi artisti e colleghi: Franco Fagioli, Andrea Mastroni, Vivica Genaux, e in Agrippina Luca Pisaroni e Joyce DiDonato e con la straordinaria orchestra Il pomo d’oro diretta dal bravissimo e giovane Maestro Maxim Emelyanychev. Spero che in futuro ci siano altri progetti discografici con loro. Ho successivamente cantato Elviro del Serse in scena nel circuito emiliano con il Maestro Ottavio Dantone che è stato anche lui soddisfatto del risultato. Sicuramente non posso cantare molti ruoli del barocco, perché per quanto possieda un timbro scuro sono senza dubbio un baritono e quindi non posso affrontare ruoli prettamente da basso come Seneca, Polifemo o Claudio. Forse potrei cantare Achilla nel Giulio Cesare o Argante di Rinaldo, e infatti il Maestro Dantone mi ha chiesto di studiare questi ruoli perché mi vorrebbe sentire…questa è un’altra cosa bella del Barocco, vive ancora di un rapporto diretto tra il direttore e il cantante che lavorano insieme su un ruolo, cosa che è ormai scomparsa nell’opera di repertorio dove solo pochi grandi direttori scelgono gli interpreti di cui si vogliono circondare. Quello che non mi aspettavo è anche l’immenso seguito di pubblico che ha questo repertorio, con persone che ci aspettano per farsi le foto con noi e che vengono a sentirci a Parigi e poi le ritrovi dopo qualche giorno a Londra con le foto stampate per farsi fare l’autografo sopra. Il Barocco ha un pubblico di fedelissimi che si distingue dal cosiddetto “melomane tipo” che critica e confronta i vari interpreti, ma è un pubblico che segue e ama prima di tutto questa musica divertendosi.
Una curiosità: tu sei laureato in farmacia, quali sono i tuoi consigli per un’ottima salute vocale?
La cosa fondamentale che io consiglio anche agli amici quando chiedono è il riposo della voce. Ovviamente nel momento in cui hai un certo tipo di carriera con una quantità di lavoro importante è difficile riuscire a fermarsi: in quel caso devi essere ancora più bravo a fermarti e ad importi di riposare tra una prova e l’altra stando in silenzio. Bisogna fare soprattutto giusto uso del riposo: non serve a nulla stare a casa magari parlando al telefono per tre ore, sarebbe peggio che cantare! Il riposo ritengo che sia la cosa primaria per l’igiene vocale, poi io personalmente faccio uso di integratori naturali e banali come la bromelina (ossia proteine derivate dall’Ananas). E’ ovvio che se utilizzi quest’ultima quando hai già mal di gola o un serio problema non serve assolutamente a nulla. In alcune situazioni di vero dramma vocale l’unica cosa che può salvare il cantante è il cortisone (anche se molti fanno finta di non saperlo), però anche in quel caso è una stupidaggine prendere medicinali come il Bentelan, perché solo il cortisone in fiale e quindi in iniezioni servono a qualcosa, le altre cose sono palliativi. Però sono cose da evitare, prevenendo la situazione curando l’igiene della propria voce con cose naturali: fortilase, vocalen…i vari integratori che aiutano. E’ importante anche bere molto. Io nei giorni delle recite evito gli alcolici, dallo stupido aperitivo fino al calice di vino: c’è stato un periodo in cui mi è capitato a pranzo, il giorno della recita, di bere un bicchiere di vino e mi sono reso conto che mi secca la voce. In sostanza è molto importante imparare a conoscere il proprio strumento e non abusarne.
Prossimi impegni…
Subito dopo questa prima rossiniana a Verona, sarò nuovamente nei panni di un personaggio rossiniano, Bartolo nel Barbiere, per il mio debutto alla Deutsche Oper di Berlino, dove sarò accanto nuovamente a Vasilisa Berzhanskaya, Isabella qui a Verona e Rosina a Berlino. Subito dopo sarò a Rouen per una nuova produzione di Serse che riprenderò anche a Parigi, al Théâtre des Champs-Elysées. Partirò poi per Glyndebourne, dove farò il mio debutto al Festival con il ruolo di Belcore. Ritornerò all’Arena di Verona facendo il doppio debutto nel ruolo di Silvio in Pagliacci e di Ping in Turandot. Nei Pagliacci ritroverò anche Nino Machaidze, che sarà la mia Nedda, e che in quel Barbiere areniano di cui abbiamo parlato prima era Rosina ed ebbe bellissime parole di incoraggiamento per me. Dopo l’Arena sarà la volta di Padova, Treviso e Rovigo con Così fan tutte dove sarò Guglielmo e Salerno per Dulcamara. Poi ci sono altri progetti, che non sveliamo, perché non sono scaramantico, ma come diceva Eduardo De Filippo “essere superstiziosi è da ignoranti, ma non esserlo porta male”.
So che hai anche un ringraziamento speciale da fare…
Questo lavoro non è semplice, deve piacerti tanto, perché è un lavoro che ti porta lontano dalla tua famiglia, dai tuoi amici (perché ti sembrerà di averne tanti, ma i veri amici, quelli che resteranno anche quando tutto questo sarà finito, e può finire domani come tra dieci anni, si contano sulle dita di una mano). Quando tutto questo si chiuderà avere una famiglia e degli amici sarà fondamentale….sembrerà banale ma è la verità. Nei momenti di difficoltà scompaiono tutti e si dimenticano di te. Quello che io consiglio è di badare sempre a distinguere il lavoro dalla vita vera. Il volersi sentire “artista” non è sbagliato, ma spesso porta fuori strada: il nostro è un mestiere, è alto artigianato. E’ un lavoro sicuramente privilegiato perché non ci dobbiamo alzare alle cinque del mattino e faticare fisicamente, ma è una professione che ovviamente ha i suoi i pro e i suoi contro e che comporta anche dei sacrifici, soprattutto per chi si è formato una famiglia e ha dei figli, come nel mio caso: so benissimo che quando le mie figlie inizieranno la scuola sarà quasi impossibile che mi raggiungano nei posti dove sto cantando. Il ringraziamento che ci tengo molto a fare è a mia moglie Pamela, che mi segue sempre e che è una bravissima insegnante di canto. Lei è un soprano lirico-leggero, ed è attenta ad ogni suono e ad ogni passaggio tecnico e mi aiuta moltissimo. Dopo qualche mese di fidanzamento e di convivenza l’ho incoraggiata ad ascoltarmi e a darmi qualche consiglio e da quel momento tutto è cambiato, sono migliorato tantissimo e la mia carriera ha avuto indubbiamente una svolta. Sono assolutamente grato a lei per questo e per essere un supporto umano ed emotivo eccezionale. Siamo una bellissima squadra.
Grazie a Biagio Pizzuti e In bocca al lupo!
Francesco Lodola