La rinascita del teatro di prosa a Verona, città del Belcanto, avviene nel segno di Verdi e dell’opera lirica con un allestimento di Quartet, traduzione di Antonia Brancati di uno spettacolo teatrale di Ronald Harwood, andato in scena per la prima volta nel 1999 e poi approdato al cinema nel 2012 con la regia di Dustin Hoffman e prestigiosi protagonisti, tra cui spicca ovviamente Dame Maggie Smith nel ruolo di Jean Horton.

A fare da cornice la corte ovest dell’Arsenale Franz Josef I della città scaligera, e una sera d’estate ventosa e con qualche goccia di pioggia sul finale. Riquadro ideale per l’Associazione Teatrale TrixTragos per inserire le vicende di questa strampalata casa di riposo per musicisti, dove si ritrova un quartetto di grandi divi del melodramma ormai ritirati dalle scene: il baritono Giambattista Rubini (detto Titta), un burlone solo apparentemente satiriaco, il mezzosoprano (mai mettere l’articolo femminile come invece succedeva qui!) Cecilia Fontana (Cecy) smemorata ma piena di ottimismo e voglia di vivere, il tenore Rodolfo De Luca caratterizzato dal parodistico vuoto pneumatico delle “teste di tenore” e il soprano Giulia Caffarelli, incarnazione di tutti i vezzi delle tragiche del palcoscenico.

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Harwood si era ispirato per la sua creazione al documentario Il bacio di Tosca di Daniel Schmid, che documentava la vita nella casa di riposo per musicisti “Giuseppe Verdi” di Milano, dove riprendeva questi artisti pensionati che ogni giorno vivevano nel gioioso ricordo dei grandi e luminosi momenti della loro carriera, guardandoli con umorismo e cercando di essere ancora umili servitori del “genio creator”. Così gli artisti di Quartet vogliono onorare la memoria di Giuseppe Verdi in occasione del Gala di compleanno, il 10 ottobre, eseguendo il quartetto del Rigoletto, loro cavallo di battaglia.

Così la vicenda si snoda tra aneddotica tipica di una carriera teatrale e ombre di una vita personale spesso sacrificata per ottenere gli allori del palcoscenico. Un modo divertente per raccontare il mondo del melodramma, fatto di bizzarrie circensi, di sensibilità enormi e devozione eterna all’arte e alla ricerca della perfezione. Il tutto raccontato con il sorriso, con l’ironia e con la percezione anche di quanto il tragico possa diventare in un momento ridicolo, come nel melodramma dove questo limite si fa stretto e spassosamente pericoloso. Si citano grandi icone come Maria Callas, Amelita Galli-Curci e Tito Gobbi e tutto ha un sapore di un’epoca in cui il melodramma era il sale del nostro paese, l’identità più autentica della nostra cultura.

Gran merito della riuscita dello spettacolo è la regia di Nunzia Messina, la quale interpreta anche il ruolo di Cecy, facendone una creatura eccezionale: divertente, eccentrica, ma anche tenera e leale. Accanto a lei, vero polo magnetico della serata, ben si comportavano Alberto Bernardi nel ruolo di Titta, Tommaso Pellin come Rodolfo e Mia Pozzi nel ruolo di Giulia Caffarelli.

Spettacolo riuscitissimo e come raccontato dagli stessi attori al termine, provato praticamente su Skype, con solo qualche prova di assestamento nel giardino di uno di loro.

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Ricordiamo i bei costumi di Sara Bonfante, e l’audio e le luci curate da Neil Ceschi (responsabile anche dell’editing digitale), Luigi Turri, Nicola Viaro, Tristana Vitzizzai e Claudia Zangrandi. Dimostrazione che con pochi elementi e in una situazione certo non facile (viste le regole del distanziamento anche tra gli interpreti in palcoscenico) si può fare uno spettacolo di ottimo livello e con tutti i crismi.

Alla fine chiusa da applauso con Nunzia Messina che invita il pubblico: “Se vi è piaciuto, ditelo ai vostri amici, e se non vi è piaciuto ditelo lo stesso, perché non è giusto che la fregatura l’abbiate presa solo voi!”.

Francesco Lodola

Verona, 6 luglio 2020