La parola chiave dell’Arena di Verona 2020 sembra essere il cuore, ma non il cuore in senso generico, ma il cuore come sede dei palpiti, del ritmo della vita. Quella del 2020 è un’Arena fatta di cuori che battono all’unisono per far rinascere la condivisione della bellezza. E in occasione della seconda serata del Festival la rinascita nasce dal ricordo di chi ci ha lasciato, le vittime di questa pandemia globale.
Il modo migliore per farlo è celebrare la fine della vita, che essendo tale ne è una parte fondamentale, con una delle pagine musicali più sublimi della storia dell’umanità, il Requiem di Mozart, che in questo modo approda per la prima volta tra le pietre dell’anfiteatro scaligero.

Dopo le parole iniziali affidate al sindaco di Verona Federico Sboarina (che dava il benvenuto anche a tutti i sindaci della provincia presenti), e del vescovo Mons. Giuseppe Zenti, il suono si spegneva in un minuto di silenzio per dopo lasciare che le riflessioni diventassero musica.
La scelta del Mozart Requiem lasciava qualche dubbio iniziale, poiché gli spazi dell’Arena sembrano essere ideali più alle grandiose architetture del Requiem di Verdi, ma invece convinceva per il senso intrinseco della musica e per la magia di questo luogo che sa rendere ancora più maestosa l’intimità di questo capolavoro. C’è in queste note la spiritualità, il misticismo, il tormento (si pensi al Confutatis o ancora al Rex Tremendae con il suo ritmo puntato), ma vi è altresì quell’incanto mozartiano che ci mostra la salvezza delle anime, quella capacità di stemperare il tragico incedere della morte nella più ispirata delle poesie e dei prodigi, come il superbo annuncio della resurrezione e del giudizio finale da parte della tromba nel Tuba mirum.
Assoluto protagonista era il coro dell’Arena di Verona, diretto dal Maestro Vito Lombardi, schierato in un’unica fila lungo il primo anello dell’anfiteatro, che pur in una condizione difficile dal punto di vista dell’acustica si faceva ammirare per la compattezza del suono e la curata espressività, in grado di sostenere sia le figurazioni ritmiche abbastanza complesse in una situazione fisica come quella, che i pianissimi a fil di voce che risultavano cristallini e pur densi nella loro trasparenza.
Grande merito al Maestro Marco Armiliato, che sul podio dell’Orchestra dell’Arena di Verona ha saputo conciliare l’introversione della spiritualità mozartiana con le esigenze di uno spazio così enorme con i coristi ad una distanza impressionante. Merito va ovviamente anche alla compagine orchestrale, in grado di assecondare le richieste del maestro e di risultare sempre compatta e precisa. Così come compatto era il quartetto vocale composto da Vittoria Yeo (soprano), Sonia Ganassi (mezzosoprano), Saimir Pirgu (tenore) e Alex Esposito (basso).

Al termine tre bis, due dal Requiem, ossia il Dies Irae e il Lacrimosa, e l’Ave Verum Corpus in un’esecuzione da lacrime agli occhi. E noi eravamo lì a fissare quella luna (quasi) piena che ci osservava anch’essa commossa nel ricordo e con lo sguardo verso il futuro.
Francesco Lodola
Verona, 31 luglio 2020