Spesso l’Arena di Verona viene accostata a Verdi, il compositore che ha rappresentato l’alba del festival lirico nel 1913 con la sua Aida. In realtà l’Arena e Rossini hanno anch’essi un rapporto felice e duraturo.

E’ il 1822 e a Verona si svolge il Consiglio dei Grandi, dove sono presenti tra gli altri l’imperatore d’Austria Francesco II d’Asburgo Lorena, lo Zar Alessandro I e Klemens von Metternich, il quale commissiona a Gioachino Rossini due cantate, Il vero omaggio e La Santa Alleanza, da eseguire rispettivamente al Teatro Filarmonico e all’Arena. E fu proprio Rossini a dirigere in anfiteatro la sua composizione (atterrito che una statua di marmo facente parte dell’apparato scenografico gli cadesse addosso), esattamente novantuno anni prima che Tullio Serafin desse l’attacco alle primo note del preludio verdiano di Aida, dando alla luce il festival come oggi lo conosciamo. Dopo quel 1822 la musica di Rossini tornò nel 1842 con lo Stabat Mater, mentre la prima opera rossiniana festivaliera fu Guglielmo Tell nel 1931 con Francesco Merli, Benvenuto Franci e Lina Bruna Rasa.

©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

E succede ora, che nel 2020, in questo anno sempre più particolare, Rossini ritorni lì con una serata a lui interamente dedicata, una passerella dei suoi capolavori, tra cui alcune pagine da opere mai eseguite in Arena, Semiramide e La Cenerentola. La compagnia radunata per l’occasione vedeva alcuni dei più prestigiosi e brillanti interpreti rossiniani del panorama odierno, sotto la direzione del Maestro Jader Bignamini.

Il Maestro Bignamini, sul podio dell’Orchestra dell’Arena dirigeva in maniera convincente, accompagnando diligentemente i protagonisti vocali. Buona l’esecuzione dell’imponente sinfonia di Semiramide, mentre meno riuscita quella del Guglielmo Tell. Discreta anche la coesione con il coro diretto da Vito Lombardi.

©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

Come dicevamo straordinario era il comparto vocale, a partire da Lisette Oropesa. Il soprano metteva in luce la grazia della sua vocalità, la pulizia tecnica, lo scintillio di un canto sorgivo e lucente. Apriva la serata con “Bel raggio lusinghier” da Semiramide, dipinta con variazioni eleganti e proseguiva con la cavatina di Rosina del Barbiere (“Una voce poco fa”), leggera e briosa, in piena corrispondenza con il temperamento dell’artista.

©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

Roberto Tagliavini ritornava al Don Basilio (“La calunnia è un venticello”) che già ci aveva tanto conquistati nel 2015 e lo fa mostrandoci l’ulteriore accrescimento delle sue qualità sia vocali che interpretative. Confermiamo quello che dicemmo allora, ossia che si tratta di uno dei più importanti bassi del momento.

©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

Alessandro Corbelli, veronese d’adozione, brillava per la sua arte raffinata, il suo canto sulla parola e sul fiato, il fraseggio prezioso, sia nel ruolo del buffo, come avviene nell’aria di Don Magnifico da La Cenerentola (“Miei rampolli femminini”) e nel duetto con Dandini dalla stessa opera (“Un segreto d’importanza”), sia in quelli del baritono grand-seigneur con l’aria “Resta immobile” da Guglielmo Tell.

©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

Un entusiasta applauso di sortita accoglieva Mario Cassi, il quale trionfava nuovamente con il suo Figaro, praticamente una seconda pelle. Il suo “Largo al factotum” colpisce per la comunicatività, ma anche per una vocalità che abbiamo visto svilupparli negli anni e che oggi dona a Figaro una maturità che cresciuta nel Belcanto, è pronta a dare i suoi frutti nel repertorio verdiano.

Veniamo ai due debuttanti: Levy Sekgapane e Marina Viotti.

©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

Il tenore sudafricano ha dimostrato fin dalla prima nota di avere le stigmate del grande cantante: vocalità preziosa, sapienza nel porgere e nel “dire” la parola, accompagnate ad una propensione naturale al canto virtuoso. Il giovane interprete alle prese con “La speranza più soave” da Semiramide e “Cessa di più resistere” dal Barbiere, è riuscito ad andare al di là del mero acrobatismo vocale, sfoggiando espressività curata, con sfumature dall’invidiabile trasparenza.

©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

Marina Viotti, alla quale spetta il titolo di meglio abbigliata dell’intera stagione (si sa, anche l’occhio vuole la sua parte), è altrettanto splendida nel dipanare il rondò di Cenerentola (“Nacqui all’affanno”), dove non si sa se ammirare il colore adamantino, il senso del teatro, la scioltezza vibrante delle agilità, o il brillio di acuti facilissimi e dal volume importante.

E la serata non poteva chiudersi che con “Tutto cangia il ciel s’abbella” dal Guglielmo Tell, coronato da una pioggia di fuochi d’artificio. Bis emozionante con “Dal tuo stellato soglio” da Mosè in Egitto, sotto il cielo stellato di un’Arena rossiniana.

Francesco Lodola

Verona, 14 agosto 2020

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