In tempi incerti come questi, e nello specifico in queste difficili settimane, una notizia positiva c’è: la Fondazione Arena di Verona archiviato (speriamo per sempre) il palco a centro dell’anfiteatro torna a fare musicale al chiuso, al Teatro Filarmonico, dove la stagione invernale si era interrotta sul più bello con una brillante Italiana in Algeri in attesa dell’attesissimo (scusate il gioco di parole) Amleto di Franco Faccio.
E il Teatro Filarmonico riprende proprio da quel punto, con un concerto sinfonico che doveva essere inizialmente eseguito il 28 e 29 febbraio, andato finalmente in scena il 16 e 17 ottobre.

Il programma era basato su due autori, Felix Mendelssohn e Amilcare Ponchielli e il fil rouge sembrava essere quello del sogno: il concerto si apriva infatti con l’Overture Le Ebridi, poema sinfonico ante litteram dai caratteri di un descrittivismo onirico, scaturito dalla visita di Mendelssohn alle isole Ebridi e in particolare la grotta di Fingal situata sull’isola di Staffa, e si chiudeva con l’esecuzione del Sogno di una notte di mezza estate dello stesso Mendelssohn.

In mezzo a questi due affreschi felice parentesi sono il Konzertstück n. 2 in re minore op. 114 di Mendelssohn e Il Convegno per due clarinetti ed orchestra di Ponchielli: qui a vestire di virtuosismo ed espressione le note dei due compositori i clarinettisti Giampiero Sobrino e Stefano Conzatti, affiatati nel dialogo pensato da Mendelssohn per il virtuoso romantico Heirich Bärmann e suo figlio Carl, e altrettanto nell’acceso divertimento ponchielliano.

Nel Sogno di una notte di mezza estate lodiamo innanzitutto la felice prova del coro femminile diretto da Vito Lombardi e le voci timbrate di Manuela Schenale (soprano) e Alessandra Andreetti (mezzosoprano).
Altrettanto vincente è la prova dell’Orchestra dell’Arena di Verona, caratterizzata da suono lussureggiante e compattezza strumentale, diretta con eleganza e fermezza da Pietro Borgonovo.
Francesco Lodola
Verona, 17 ottobre 2020