Quando si entra nella sala di un teatro ci si aspetta di vedere il sipario abbassato, mentre adesso ci troviamo in un cantiere: c’è chi lavora, chi chiacchiera, chi pulisce. Questa è la scena che immagina il regista Graham Vick quando rappresenta Zaide al Teatro dell’Opera di Roma. Zaide, il singspiel incompiuto di Mozart che essendo, appunto, incompiuto, è visto come un dramma da costruire letteralmente attraverso la scena ma prima di tutto dal punto di vista del libretto. Come si collegano tra di loro i quindici pezzi che Mozart ha composto? Ci sono diverse varianti, prese da altri libretti o scritti, per tentare di dare una conclusione; invece, nella produzione del Teatro dell’Opera di Roma troviamo la versione ideata completamente da Italo Calvino, il cui tentativo è stato principalmente quello di giustificare le azioni dei personaggi, non dando semplicemente una soluzione, ma molteplici interpretazioni e non è detto che tra queste ci sia la cosiddetta “verità”. Ciò che è stato scritto da Calvino viene letto da un attore che diviene il narratore della storia: quando parla, ogni personaggio a cui si rivolge, mima i gesti che enuncia. In questo caso il narratore è Remo Girone, che non è anonimo sulla scena anzi, si amalgama bene con tutto ciò che lo circonda, anche con gli stessi cantanti, nonostante egli sia effettivamente al di fuori della narrazione.

Sul podio troviamo Daniele Gatti che dirige con grazia l’orchestra e le musiche di Mozart, accompagnando dolcemente gli interpreti. Questi ultimi sono stati molto apprezzati dal pubblico romano. In particolare gli interpreti di Zaide, Gomatz e Allazim (in ordine Chen Reiss, Juan Francisco Gatell e Markus Werba), un trio che difficilmente verrà dimenticato, per la presenza scenica ma soprattutto per le doti vocali perfette per i personaggi. Zaide, la ragazza intrappolata dal sultano è interpretata Chen Reiss, che possiede una voce dolce e un timbro morbido anche negli intervalli più difficili dei passaggi che Mozart scrive per la giovane. Attraverso questa delicatezza riesce a trasmettere la semplicità del suo personaggio. Gomatz, interpretato da un volto ormai ben conosciuto al Costanzi, ossia Juan Francisco Gatell, non delude affatto. Con timbro chiaro e squillante, è dotato di una precisione vocale in ogni istante, particolare non scontato poiché Gatell salta letteralmente da una parte all’altra del palco, proprio per dimostrare il carattere del suo personaggio, giovane ed innamorato.

Markus Werba veste i panni di Allazim, un servo fedele del sultano. Egli ha una voce calda, un timbro preciso, rassicurante e penetrante, il tutto accompagnato da una recitazione convincente e una possente presenza scenica che il pubblico ha molto apprezzato. Su questo livello si pone anche l’Osmin di Davide Giangregorio, il quale canta una sola aria, “Wer hungrig bei der Tafel sitzt” ma con voce possente e con grande abilità e agilità, nonostante sia un pezzo non particolarmente semplice. Un po’ sottotono è il Soliman di Paul Nilon, dal bel timbro e preciso in alcuni punti ma spesso coperto dall’orchestra. C’è anche il bisogno di precisare che nonostante il sultano Soliman sia un tenore, Mozart ha scritto il suo ruolo in alcuni punti nel registro medio-basso, quindi potrebbe risultare una sfida per un tenore leggero. Bravo anche il coro dei quattro schiavi ad inizio opera, interpretati da Raffaele Feo, Luca Cervoni, Domingo Pellicola e Rodrigo Ortiz (gli ultimi due dal progetto “Fabbrica” Young Artist Program del Teatro dell’Opera di Roma).

Per quanto riguarda la regia, Graham Vick ha avuto un’idea innovativa nell’ambientare Zaide in un cantiere, donando un significato simbolico, essendo un singspield incompiuto, ma allo stesso tempo ancora più concreto. Nonostante questo allestimento moderno, Italo Grassi veste i personaggi in maniera “classica”, un contrasto particolare e sicuramente riuscito. Tutto ciò, insieme agli interpreti e all’orchestra, ha provocato numerose ovazioni nel pubblico romano anche a scena aperta. La serata è stata una boccata d’aria fresca in questo periodo molto incerto e, nonostante i molteplici cambiamenti alla nostra “routine teatrale”, ritornare nel tempio della musica fa solamente bene.
Sara Feliciello
Roma, 24 ottobre 2020