L’estremo capolavoro di Verdi, l’ultimo e definitivo incontro tra Verdi e Shakespeare, con la mediazione sapiente di Arrigo Boito, Falstaff: la vita reale che si trasforma in teatro dei sentimenti e della burla, aprendo al mondo musicale moderno. Proprio per tutti questi motivi, Falstaff diventa cantiere teatrale per registi da varie estrazioni. Nella produzione trasmessa in streaming dalla Bayerische Staatsoper la regista slovena Mateja Koležnik ambienta le vicende in Casinò anni ’60 frequentato da personaggi che paiono usciti da Casinò di Martin Scorsese, o come è intento dichiarato della regista dai film di Paolo Sorrentino e com’è ovvio da La grande bellezza. Le donne sembrano cucite sulle protagoniste del film cult Il club delle prime mogli, pronte a prendersi la propria rivincinta con la femminile scaltrezza. L’idea non è certo originale, pensiamo al recente Falstaff berlinese con l’ambientazione in una palestra con spa e piscina, e in questo caso vanifica alcuni momenti, come il tonfo nel Tamigi di Sir John, e fa venire meno anche la sottile ironia che passa attraverso le parole di Boito e la musica verdiana, risultando una messinscena piuttosto monotona, tranne per alcuni momenti sparsi, come la scena negli appartamenti di Alice. Ricordiamo le funzionali scene di Raimund Orfeo Voigt e gli sfavillanti costumi di Ana Savić-Gecan.
Grazie soprattutto al quartetto femminile, che emergono per presenza vocale e scenica. Bene la Meg Page di Daria Proszek e la Nannetta di Elena Tsallagova, voce di soprano lirico puro dal timbro cremoso e dalla recitazione incantevole, anche quando nei panni della Regina delle Fate deve cantare abbigliata da artista di burlesque.
Brillante la Mrs. Quickly di Judit Kutasi, artista che abbiamo apprezzato più volte dal vivo nel ruolo di Amneris, e che qui troviamo attrice e interprete spigliatissima, capace di guadagnarsi la scena nei suoi momenti clou.
Ailyn Pérez è la Sofia Vergara della lirica, sexy, glamorous e ironica, capace di giocare con la sua bellezza latina (meravigliosa la scenetta di seduzione in lingerie con Sir John). Splendida anche la sua prova vocale, grazie ad una voce dai riflessi affascinanti e dal porgere elegante.
Più problematico il settore maschile con Wolfgang Koch, un Falstaff alla ricerca di una propria cifra interpretativa, che sembra però trovare solo in sparuti momenti. Boris Pinkhasovic è un buon Ford, la cui dizione perfettibile non lo aiuta nel definire il proprio ruolo. Gaetano Salas è altrettanto efficace in Fenton, pur non cogliendo del tutto l’affascinante involo melodico delle frasi musicali che Verdi gli affida. Discreti gli altri: Kevin Conners (Dr. Cajus), Timothy Oliver (Bardolfo) e Callum Thorpe (Pistola).
Michele Mariotti, al suo debutto in Falstaff, porta così come nel suo recente Ernani a Parma, la sua capacità di rendere la cristallina trasparenza dell’architettura musicale perdiana, sottolineata qui da un gioco degli incastri dal sapore rinascimentale, grazie anche alla meravigliosa prova dell’orchestra della Bayerische Staatsoper. Il senso del teatro di Mariotti e la sua sapienza nell’accompagnare rendono la sua lettura avvincente e raffinatissima. Benissimo anche il coro diretto Stellario Fagone.
Il finale dell’opera viene proiettato sul palcoscenico con un video-wall che riproduce la schermata di una delle tante chiamate zoom che caratterizzano il momento storico che stiamo vivendo. Questa sì una trovata originale.
Francesco Lodola