In questi giorni sembra quasi che i teatri siano in gara nel mettere in scena talmente tanti spettacoli in streaming, da non riuscire quasi a seguirli tutti. Fortunatamente non abbiamo perso la nuova produzione di Simon Boccanegra dell’Opernhaus Zürich in diretta sul canale ARTE (visibile qui). Quest’opera così preziosa, ma più in ombra rispetto ad altri titoli del repertorio verdiano, veniva presentata in una nuova produzione con la regia di Andreas Homoki, direttore artistico del teatro, il quale ambienta le vicende in un ambiente unico che gira su se stesso e su cui si aprono decine di porte (scene di Christian Schmidt e luci di Franck Evin) : una soluzione non nuova, vedasi il Don Giovanni di Michieletto alla Fenice, ma assai efficace. Il mare, assoluto co-protagonista dell’opera, resta nella musica e nello scheletro di una barca nel prologo, nel I atto e che accoglie poi il morente Boccanegra nel finale, ma il movimento di questa struttura ce lo riporta simbolicamente, trasportando tutte le psicologie del dramma in un’onda continua. La ripresa eccellente permette di godere della recitazione ben curata e degli snodi cruciali dell’azione.
Sul podio Fabio Luisi, alla sua ultima produzione come direttore musicale, offre alla guida dell’Orchestra dell’Opernhaus una lettura dalla superba eleganza, rendendo alla perfezione l’ariosità e la trasparenza di questa musica, gestendo con sapienza gli interpreti sul palcoscenico, non sovrastandoli mai, anzi assecondandoli nell’esaltare le proprie peculiarità, senza però perdere mai il senso del teatro. Benissimo il coro diretto da Janko Kastelic, il quale cantando quasi sempre da dietro le quinte, assume ancora più potere espressivo.
Debuttava nel ruolo del titolo Christian Gerhaher, raffinato interprete, che mette al servizio del personaggio le sue indubbie qualità di dicitore e fraseggiatore, attento ad ogni accento con attenzione da alchimista verrebbe da dire. Quello che gli difetta è la vocalità invero troppo chiara (con qualche suono fisso) e la tendenza a risultare talvolta un po’ troppo artificioso, così da non rendere la forza del personaggio, ma piuttosto le sue fragilità. Non sortisce quindi effetto nelle pagine in cui dovrebbe sfoggiare accenti pletorici e trascinanti, ma nei momenti in cui questo tenebroso personaggio dialoga con sé stesso.
Christof Fischesser è uno Jacopo Fiesco in crescita nel corso dell’opera, mancando inizialmente la cifra austera e monumentale per questo ruolo, ma recuperandola bene nel duetto con il protagonista del III atto. Bene invece il Paolo Albiani di Nicholas Brownlee, baritono dalla bella voce e dalle ottime intenzioni interpretative. Non manca il temperamento nemmeno al tenore georgiano Otar Jorjikia, il quale delinea un Gabriele Adorno giustamente focoso e pieno di giovanile ardore convincente, pur con il limite del registro acuto non sempre controllato.

La migliore in campo risulta Jennifer Rowley, autentico soprano verdiano, al debutto nel ruolo di Amelia, in cui sciorina un canto espressivo e sempre sulla parola. La vocalità sontuosa che sa piegarsi a morbidissimi pianissimi e filati si impone su tutte per l’autenticità con cui riveste le linee melodiche di questa fanciulla verdiana, dominando nei momenti d’insieme.
Bene il Pietro di Brent Michael Smith, Siena Licht Miller (Ancella di Amelia) e Savelii Andreev (Capitano dei balestrieri).
Francesco Lodola