Nei giorni dei festeggiamenti per il 250° anniversario della nascita di Ludwig van Beethoven, abbiamo intervistato il soprano Chen Reiss, che ha recentemente dedicato la sua ultima fatica discografica al genio di Bonn, “Beloved Beethoven”, una raccolta di grandi pagine vocali beethoveniane. Chen Reiss è una delle più brillanti artiste della sua generazione, acclamata in un repertorio ampissimo sia operistico che concertistico che va dal Barocco, al repertorio mozartiano fino al Belcanto italiano e al Novecento di Weill e Berg. Con lei abbiamo avuto il piacere di chiacchierare sul suo recente successo come Zaide all’Opera di Roma, su Beethoven e sul suo modo di intendere l’arte del canto.
Partiamo dalle cose più recenti…ti abbiamo applaudita ad ottobre come protagonista di Zaide al Teatro dell’Opera di Roma. Com’è stata la tua esperienza romana, soprattutto in questo periodo di restrizioni?
E’ stata una bellissima produzione, abbiamo avuto un bellissimo periodo di prove nel rispetto delle regole. Siamo stati coccolati dal teatro che ci ha aiutato in ogni modo a fare il nostro lavoro nel migliore dei modi. Sono molto impressionata da come gli italiani hanno riorganizzato tutto, in qualche modo ha saputo superare gli ostacoli della pandemia. Penso sia il paese che ha fatto di più per gli artisti rispetto agli altri. Ho avuto la sensazione che proprio il pubblico sentisse la necessità della musica e del teatro e quindi anche di un senso di normalità.

Non canti poi così spesso in Italia…
Ho cantato molto al Teatro del Maggio Musicale Fiorentino tra il 2008 e il 2012, in quella città meravigliosa che è Firenze. Sono contenta di essere finalmente tornata in Italia, in un’altra città straordinaria come Roma e in un ruolo particolare come Zaide. Devo dire che prima di affrontarlo non conoscevo molto bene questo personaggio, non l’avevo mai cantato, nemmeno la famosa aria “Ruhe sanft”, che però ovviamente conoscevo. E’ un ruolo molto interessante, e in qualche modo anche più interessante della Konstanze di Die Entführung aus dem Serail, che pur essendo anche questa un singspiel, ha delle caratteristiche molto diverse. Zaide ha della musica straordinaria e il suo personaggio ha tre bellissime arie, ma soprattutto è un personaggio che ha un suo sviluppo caratteriale. Quello che io amo di più di Zaide è il fatto che lei è una donna forte e capace, e mentre Konstanze aspetta di essere salvata da Belmonte, Zaide prende l’iniziativa, è innamorata di Gomez ed lei che fa il primo passo verso di lui. E’ un personaggio davvero coraggioso.
Questo suo coraggio, questa sua forza drammatica e questo suo virtuosismo vocale la avvicinano anche alle grandi arie beethoveniane che tu hai inciso per l’album Immortal Beloved (Onyx, 2020) con l’Orchestra dell’Academy of Ancient Music diretta da Richard Egarr…
Si, e in entrambe le cose la vocalità assume anche dei toni molto poetici. La seconda aria di Zaide “Trostlos schluchzet Philomele” è un vero capolavoro ed è piena di poesia, poesia quasi romantica. La forma naturalmente è classica ma si sente nell’armonia un modo di condurre quasi romantico, poetico, appassionato che va assolutamente nella direzione di Beethoven. Il linguaggio di questo Mozart giovane ma già scafato ha una maturità straordinaria, anela alla ricercatezza. In questo contesto penso spesso a Schubert che era un grande cultore di Mozart e nella sua musica si sente il “Sehnsucht”, termine che in italiano possiamo tradurre approssimativamente con la parola “nostalgia”. Mozart in questo senso è stato assolutamente ispiratore di Schubert. E nella seconda aria di Zaide si sentono i primi semi dell’epoca romantica. Credo che la considerazione di Mozart come padre del Romanticismo nasca proprio da qui più che dalla trilogia di Da Ponte. E’ come se in quel caso Mozart sia voluto andare in un’altra direzione. In questo Mozart giovane si osserva anche una scrittura molto impervia e difficile per le voci, mentre quando scrive Donna Anna o la Contessa si può vedere l’esperienza che lui ha acquisito lavorando con i cantanti. In Zaide la tessitura si gioca molto sul passaggio, ed è talvolta piuttosto scomoda, tuttavia il linguaggio armonico risulta già pienamente maturo e sviluppato. In “Ruhe sanft” e in “Tiger! wetze nur die Klauen” una cantante può dimostrare le sue abilità di virtuosa e fraseggiatrice.

Tornando però a Beethoven, direi che questo album segna anche uno sviluppo nella tua storia artistica, toccando una vocalità più “pesante” se vogliamo dire…
Sì, assolutamente, e anche la costruzione dell’album è strutturata in qualche modo in questo senso. La prima aria dell’album è “Fliesse, Wonnezähre, fliesse!” dalla Cantata per l’ascesa al trono dell’Imperatore Leopoldo II, un’aria giovanile del compositore. Beethoven come Mozart è stato un’artista molto precoce (certo non precoce quanto Mozart) e infatti in questo pezzo si può osservare quanto sia maturo nel suo linguaggio. Il trattamento che egli riserva alla voce è di tipo strumentale, si nota l’inesperienza nello scrivere per la voce. Le coloriture sembrano scritte per un violino. Recentemente ho cantato Ginevra in Ariodante alla Royal Opera House di Londra e Händel, autore ovviamente di altra epoca e altro stile, scrive in un modo belcantista, italiano e con una coloratura che è pensata per i cantanti.
Händel aveva anche un rapporto diverso con i cantanti…penso ad Anna Maria Strada del Po’ (che fu anche la prima Ginevra) che è stata una delle sue interpreti predilette e di cui lui conosceva esattamente le caratteristiche vocali…
Sì, Händel aveva un rapporto con i suoi cantanti diretto, pur essendo nato in Germania e quindi in un contesto più fedele alla musica strumentale utilizzava un metodo italiano anche nel trattare le voci. In Beethoven si percepisce invece la netta predominanza della scrittura strumentale su quella vocale. Tornando all’aria della cantata devo dire che è stata una vera sfida. Io ho molta facilità nelle colorature, ma per queste coloriture ho dovuto invece lavorare molto sodo e fare un lavoro vocale apposito. Non c’è un senso vocale in questo virtuosismo, ho dovuto trovare un modo per cantare quest’aria, ed è quello di cantare con una tecnica barocca, leggera, molto trasparente. Beethoven è un compositore con una gamba nel Classicismo e una nel Romanticismo, ma in questo caso è assolutamente classico, molto simile allo stile di Haydn. Assistiamo durante l’album alla trasformazione, allo sviluppo del suo linguaggio vocale. Vediamo per esempio le arie che lui ha scritto nel periodo in cui studiava con Salieri a Vienna. Salieri era un maestro della voce e questo ha avuto grande influenza nella maturazione di Beethoven come compositore di musica vocale. Certamente Salieri non aveva la creatività e il senso drammatico di Beethoven, questa è una sua caratteristica personale. La seconda aria dell’album “No, non turbarti, o Nice” è una delle mie arie preferite ed è autenticamente geniale. La prima cosa che io adoro è il testo di Metastasio, un vero capolavoro. Metastasio era il maestro del conflitto drammatico e l’unione della sua arte a quella di Beethoven dà origine ad un grande matrimonio felice. Beethoven ha allo stesso modo di Metastasio il senso del dramma e anche del conflitto. Non capisco perché quest’aria non goda della fama che merita, perché è un’aria perfetta dal punto di vista drammaturgico sia per l’orchestra che per la cantante e anche per il godimento della parola e del testo. E’ avvincente vedere come Beethoven sappia esprimere il senso drammatico di ogni parola del testo di Metastasio. Poi viene l’aria del singspiel “Soll ein Schuh nicht drücken”, dove Beethoven mette in luce il suo senso dell’umorismo. Si capisce anche il suo sguardo verso le donne, lui le comprendeva e ne esalterà sempre la forza (penso a Leonora di Fidelio, ma anche a Leonore Prohaska di cui è contenuta la romanza nell’album). Beethoven ammirava le donne che dedicavano tutta la loro vita ad un uomo o ad un ideale. Questo rispecchia il suo idealismo come uomo. Non dimentichiamoci che Beethoven fu il primo compositore a liberarsi dal sistema del mecenatismo e ad essere un uomo di musica e di politica, mettendosi al servizio del messaggio e delle idee che la sua musica potevano trasmettere. Per questo è un compositore che non smette di colpire per la sua modernità e attualità. Nessuno dei suoi contemporanei lo può eguagliare in questo. Mozart ha cominciato con Le nozze di Figaro ma Beethoven è diventato davvero il primo compositore politicamente impegnato. Possiamo dire che Beethoven è stato un po’ quello che Verdi è stato per l’Italia. In “Soll ein Schuh nicht drücken”, che non parla d’altro che di una scarpa si mette in evidenza anche la sua leggerezza, il suo spirito più giocoso. Ritornando al discorso prettamente musicale, arrivati alla grande scena ed aria “Ah!Perfido” possiamo dire che si smonta completamente la reputazione del Beethoven che non sa scrivere per la voce. Anche qui certamente non è una scrittura comoda come quella di un Donizetti ma il pezzo è scritto comunque molto bene per la voce. Anche qui si ripete il connubio Beethoven-Metastasio, poiché il testo del recitativo è attribuito al poeta italiano. E’ molto interessante perché il tardo Beethoven, Schubert e Donizetti operano contemporaneamente, ma sono molto diversi. Schubert e Donizetti sono nati nello stesso ma appartengono a mondi completamente differenti. Beethoven è più adulto ed è il maestro dell’orchestrazione. Se tu chiedi ad un orchestrale di scegliere tra Beethoven e Donizetti, tutti ti diranno Beethoven, anche in Italia (ride), ma se tu invece parli con i cantanti loro ti diranno Donizetti! In quest’ultimo tutto è al servizio della voce, in Beethoven tutto è al servizio dell’idea.

Forse sta proprio in questo l’ammirazione di Verdi verso Beethoven…se vogliamo “Ah! Perfido” sembra quasi una Abigaille beethoveniana!
Si! (ride). Davvero si spiega l’influenza che Beethoven ha poi esercitato su tutti i compositori successivi, da Verdi a Wagner. Come quest’ultimo ha operato una vera rivoluzione nel modo di fare l’opera, di eseguirla e di ascoltarla, Beethoven ha cambiato totalmente la musica sinfonica e cameristica. Per questo ho deciso di fare questo album, per mostrare anche la sua capacità di autore di musica vocale. Non ha scritto molto per la voce, ma quello che ha scritto ha una sua importanza dal punto di vista musicale.
Come abbiamo visto anche in queste righe, tu affianchi al tuo percorso nell’opera lirica anche la musica cameristica e sinfonica….Quali sono le differenze tecniche che riscontri nell’affrontare questi repertori diversi?
Questa è una bella domanda che esige una risposta abbastanza articolata. L’uso del fiato è uguale, più o meno, quello che cambia è la coordinazione. Ora per esempio ho cantato Händel a Londra e in quel caso, come nella coloratura di Mozart devo essere come un piccolo cervo nella foresta o un gatto, sempre pronta a saltare. Per fare questo è importante essere tranquilli e essere consapevoli nell’utilizzo del fiato. E’ necessario cantare in modo “economico”, ossia senza sprecare le proprie energie, in modo “ergonomico”. Quando invece mi trovo alle prese con un’aria scritta come una cantilena, penso per esempio alla stessa Ginevra haendeliana e alla grande aria “Il mio crudel martoro” o alla Giulietta dei Capuleti e i Montecchi (“Oh! Quante volte..”), in quel caso la concentrazione è tutta sul canto legato, che è uguale in Händel come in Bellini. Quello che cerco di fare è di non cantare mai allargando, ma sempre in modo verticale. Nel mio repertorio questo è possibile farlo, non lo sarebbe se cantassi Puccini o Wagner.

Però c’è già stata una Liù nella tua carriera…
Sì, però Liù è un Puccini differente da tutti gli altri, deve avere questa leggerezza negli acuti, i pianissimi cristallini. Quando io canto immagino e penso sempre a Montserrat Caballé che aveva una voce grandissima, ma sempre in punta, senza mai “aprire” troppo i suoni, cercando sempre di alleggerire, anche quando cantava Turandot. Di conseguenza io cerco di non pensare mai di dover usare troppa voce o troppa “aria”. E’ molto importante la posizione e questa non deve cambiare mai, sia che si canti Ein deutsches Requiem di Brahms, Liù o Mozart. Cambia solo lo stile e la lingua, che gioca un ruolo fondamentale. Cantare in italiano o in tedesco ti dà delle sensazioni molto differenti…è più facile cantare in Italiano. Però il fiato resta il fondamento.
Ti dedichi frequentemente anche all’insegnamento…com’è la Chen insegnante?
La prima cosa che io insegno ai miei allievi è proprio l’uso del fiato. Parto proprio da questo e da come bisogna allineare il corpo per un uso corretto del fiato, la postura che si ha mentre si canta influisce su come si respira. Dico sempre che devi pensare “sul fiato” e devi farlo consapevolmente mentre fai gli esercizi, mentre sul palcoscenico non c’è il tempo di fare questo, deve essere automatico…lì non c’è il tempo di pensare troppo, nel momento in cui lo pensi è già tardi. Sul palcoscenico la tua attenzione è già catturata dal maestro, l’orchestra, i colleghi e non puoi aggiungere questo meccanismo…anche quando fai un recital non sei mai da sola sul palcoscenico. Il cantante è una voce che si aggiunge ad altre voci. Questa è anche la differenza tra il Belcanto e altri repertori, come quello di Bach. Una cosa che io dico sempre ai miei studenti è che quando si canta Bach si è una voce che deve pensare armonicamente per rapportarsi con le altre voci. Nel Belcanto italiano la voce, il cantante è la “star” e tutti gli altri devono seguire te. In Bach la costruzione è matematica, la tua voce è importante quanto la voce di tutti gli altri: l’oboe o il flauto sono solisti come te. Molti cantanti commettono l’errore di pensare di essere solo una linea melodica sopra tutti, trascurando completamente il pensiero armonico e di inserirsi in esso. Dobbiamo essere sempre attenti a chi fa musica insieme a noi, e alla nostra funzione nell’insieme armonico. Questo modo di pensare non cambia la tecnica, ma cambia il nostro modo di ascoltare la musica, e se io ascolto in un modo differente, canto in un modo differente.
Questo è sicuramente anche un ottimo insegnamento per i giovani: cosa consiglieresti ad un giovane che vuole intraprendere questa carriera? parliamo proprio da un punto di vista psicologico e concreto.
Questa è un’altra grande e complessa domanda. Il covid ci ha mostrato tante cose che non vanno. Dobbiamo pensare a come ricostruire la nostra carriera dopo questo momento. Ci sono molti cantanti che ora fanno carriera su Instagram…va bene così. Diciamo che questo periodo può cambiare il nostro modo di approcciarci alla voce e al suo studio. Facendo tanti streaming canti in un modo differente: non è certamente la stessa cosa cantare per un microfono o cantare all’Arena di Verona o al Metropolitan di New York. Non so come saranno le cose in sei o dodici mesi, ma il consiglio che io do è di essere sempre al servizio della musica. Non siate al servizio della critica, del pubblico, non percepite di dover accontentare gli altri, siate onesti e sinceri con voi stessi: prendete questo “pezzo” di musica e pensate a come vi sentite e a cosa volete condividere con gli altri. La nostra arte è emozionale e facendo questo sarà anche autentica. Non è importante chi canta più forte, ma chi canta in modo originale. Ci sono tante opere sconosciute come Zaide, in cui puoi lasciare veramente un segno. Dico sempre ai giovani di crearsi un proprio progetto e non semplicemente di andare e diventare una marionetta in un teatro. Quando canti in teatro hai una piccola, piccola influenza. Il pubblico non è composto per la maggior parte da musicisti e quindi è influenzato da ciò che vede più che ciò che sente, oggi più che mai. Tu puoi cantare benissimo, ma se la regia è brutta, tu non raggiungi il tuo obiettivo totalmente. Ma se invece fai un album, un progetto puoi avere più influenza e più controllo. Per questo io incoraggio i giovani di cantare anche il repertorio concertistico: certo, l’opera è qualcosa di magico, ma c’è anche tanta musica sinfonica e da camera magica…Bach, Vivaldi, Scarlatti. Bisogna essere originali e andare a scoprire la musica magari sconosciuta che merita di essere riportata alla luce. L’importante io dico sempre è di farsi un nome e poi semmai andare a cantare La Traviata all’Arena di Verona, se si ha la voce per farlo (ride). La competizione oggi è fortissima, abbiamo una straordinaria quantità di eccellenti cantanti. Il livello vocale e musicale oggi è davvero molto alto, e per questo è difficilissimo costruirsi una solida carriera.

Tornando a te, diventa interessante chiederti com’è nato il tuo amore per il canto? Tu sei di origine israeliana e nella vostra cultura so che la musica e il canto hanno un ruolo importante.
Io sono fortunata perché mia mamma è una cantante lirica e sono nata tra Mozart e Händel: ho cantato “Rejoice greatly” già quando avevo dodici anni. Ho sempre avuto passione per la musica classica. Certamente ho ascoltato musica israeliana, il pop, e anche Edith Piaf e quel repertorio di chanson francesi che mi piace molto. Però nel cuore ci sono sempre stati Mozart, Beethoven e tutti questi grandi autori: ero sempre rapita da questa musica. Sono cresciuta con loro. In Israele abbiamo la Israel Philarmonic Orchestra che ha visto sul podio i più grandi direttori del mondo: Zubin Mehta, Daniel Barenboim, Riccardo Muti e Leonard Bernstein (mia mamma ha cantato nel coro sotto la sua direzione). Ho vissuto quindi in un mondo pieno di cultura musicale. Quando avevo vent’anni sono andata a New York dove ho studiato per un po’ e poi sono stata a Monaco di Baviera. Ho imparato le lingue: l’ebraico non lo parla quasi nessuno, parlavo bene inglese, ma ho dovuto per esempio imparare bene il tedesco. Anzi per cantare il repertorio tedesco direi che è fondamentale sapere la lingua, perché i testi sono spesso complessi poiché desunti dalla letteratura di Goethe o Schiller per esempio. Questo è un altro consiglio che io rivolgo sempre ai soprani che vogliono per esempio cantare Strauss: non lo potete fare se non conoscete il tedesco. La stessa cosa vale per l’italiano, anche se è una lingua più naturale, che è per sua natura musicale. I libretti delle opere di Verdi o Puccini seguono la melodia e non viceversa, come avviene per esempio nel repertorio wagneriano o in Mahler o Berg. In italiano è prima la musica e poi le parole, in tedesco spesso è il contrario.
Quali sono i tuoi prossimi progetti, anche discografici, visto che sei un’interprete molto attenta a questo aspetto?
Sì, voglio registrare il più possibile. E’ un altro consiglio che mi sento di dare ai giovani quello di registrare più che si può. Quando fai una registrazione audio o video, studi molto e impari molto: una registrazione tante volte è quasi più importante di una lezione di canto perché senti e vedi te stessa.
Quasi un’autoanalisi freudiana…
Sì! Vedi come apri la bocca, la posizione del corpo, del collo. Puoi ascoltare se il vibrato è ben controllato in tutti i registri, se l’intonazione è pulita e la posizione corretta. Sei praticamente costretto ad ascoltare anche con il cervello: il microfono è senza pietà. Oggi poi la strumentazione tecnica in sala d’incisione è di altissimo livello e devi sapere come utilizzarla e sfruttarla. La registrazione serve per togliersi le cattive abitudini che tutti abbiamo, anche i più grandi cantanti. Ho imparato tanto in questo periodo di chiusura perché ho visto molti live streaming e ho partecipato ad alcuni e mi sono sempre riascoltata per capire cosa avevo fatto e cosa potevo migliorare.

Cosa ascolteremo nel prossimo album? Prima dicevi della tua passione per Edith Piaf…potrebbe essere un’idea!
Chissà! (ride) Ci sono tanti progetti, alcuni purtroppo cancellati per la situazione che stiamo vivendo. Dovrei cantare Vier letzte Lieder di Strauss e i Sieben frühe Lieder di Berg tra febbraio e marzo e prima ancora la Nona Sinfonia di Beethoven a Parigi, il 2 gennaio…però purtroppo non sappiamo ancora se la situazione lo permetterà. Dovrei anche cantare il Requiem di Brahms alla Scala a febbraio…speriamo!
Chiudiamo con una domanda piena di speranza: i tuoi ruoli dei sogni al momento?
Io dico sempre che sono una “pianista frustrata” (ride)! Il mio sogno è quello di suonare il Concerto per pianoforte No. 23 in La maggiore di Mozart…se posso chiedere al cielo un miracolo chiedo questo! (ride). Tornando al canto ci sono troppi ruoli! E anche diversi! In questo momento mi viene da pensare a due personaggi: Lulu di Berg, un ruolo difficilissimo da imparare e che ha bisogno di un anno di preparazione! E Violetta de La Traviata. Ci sono anche altri personaggi che potrei fare subito e che non sono ancora arrivati: Donna Anna in Don Giovanni, Amina ne La Sonnambula, un ruolo che amo molto, assolutamente poetico. Preferisco Amina, devo dire, a Lucia, che è più agitata diciamo (ride). Vorrei cantare Alcina, Juliette, un altro ruolo pieno di poesia e tanti altri!
Grazie a Chen Reiss e In bocca al lupo!
Francesco Lodola