Continua la produzione operistica della Wiener Staatsoper all’insegna della situazione dettata dal pericolo che la diffusione di Covid-19 rappresenta per spettatori e produttori: in questo clima di riutilizzo delle tecnologie moderne è andata in onda, tra domenica e lunedì scorsi, la Carmen di Bizet nell’ormai noto allestimento che ha consacrato Calixto Bieito alle fortune legate al capolavoro di Bizet. 

Quello del regista spagnolo più drastico dei nostri tempi è un allestimento che sradica le celebri vicende narrate dalla penna di Prosper Mérimée per reinserirle in un Marocco più vicino ai giorni nostri, al crepuscolo dell’esperienza franchista che si concretizza in una Ceuta spietata e suadente, cinica e verista. Perché è sano verismo quello che Bieito e Flores (scene) sono in grado di rendere in un allestimento scarno ma potente, in grado di esplicitare una forza intrinseca alla caratterizzazione dei personaggi che, spogliati da costrizioni, sono pienamente in grado di esprimere sulla scena, oltre che se stessi, anche uno stato d’animo che non manca di raggiungere l’inerme spettatore. Uno stato d’animo volutamente contraddittorio, sviluppato su due piani narrativi che nel proprio sapiente intreccio costituiscono la spina dorsale dell’intera produzione, tra guerra, sensualità e tanta sincerità narrativa.

©Wiener Staatsoper / Michael Pöhn

Non entusiasma la direzione di Andrés Orozco-Estrada che pensa una Carmen passionale ma poco incisiva, lontana dall’approfondimento caratteriale che Bizet affida alla ricchezza della sua partitura: l’enfasi è eccessiva e rallenta una narrazione estremamente più complessa di quanto percepito. Caratterizzazione pienamente raggiunta dalla Carmen di Anita Rachvelishvili che incarna il personaggio e lo sviluppa nel corso di tre ore di spettacolo che lasciano allo spettatore una grande eredità teatrale. Della protagonista apprezziamo sicuramente anche l’ottimo fraseggio.

©Wiener Staatsoper / Michael Pöhn

Tra le figure femminili spicca sicuramente Vera-Lotte Boecker che ci regala una Micaela composta e vivace in grado di soddisfare, con la sua performance vocale, in un ruolo troppo spesso superficialmente affrontato . Simile riuscita è quella di Piotr Beczala nei panni di un Don José che avrebbe forse potuto osare maggiormente ma che preferisce delineare un personaggio più tradizionale, tecnicamente praticamente perfetto. Incisiva è anche la presenza scenico-vocale dell’Escamillo di Erwin Schrott. Arricchiscono l’esecuzione la Mercédès di Szilvia Voros e la Frasquita di Slàvka Xàmecnikova. Bene anche le performance di Martin Häßler nel ruolo di Moralès e Peter Kellner come Zuniga..

Nel complesso assistiamo, seppure virtualmente, e quindi con degli oggettivi limiti, a uno spettacolo consolidato, che ha viaggiato in tutto il mondo, e che forse avrebbe bisogno ad ogni ripresa di una cura più attenta, per restituirne tutta la sua complessità.

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