Le brillanti note della sinfonia de Le Maschere accolgono il ritrovato pubblico al Teatro Filarmonico di Verona, e dimostrano che il teatro oltre ad essere un regno dove è permesso viaggiare nei sogni, è anche un luogo di sensibilizzazione al bello e di diffusione del nostro patrimonio musicale e culturale. Sì, perché il pubblico veronese è ritornato a teatro con un pomeriggio interamente dedicato al Verismo, dove nella prima parte scorrevano pagine strumentali di opere popolari del repertorio come gli intermezzi di Cavalleria Rusticana e Adriana Lecouvreur e di titoli più rari, come la citata sinfonia de Le Maschere, il preludio atto III della Wally, e l’Intermezzo atto III (Il Sogno) di Guglielmo Ratcliff. La seconda parte vede la prima esecuzione veronese di Zanetto di Pietro Mascagni.

Sul podio il maestro Valerio Galli restituisce la forza dell’involo melodico delle pagine orchestrali, con particolare rilievo al Sogno del Ratcliff, pagina di pura poesia musicale, diretta con grande limpidezza di gesto e intenzioni. Gli risponde un’orchestra in grande spolvero, per pulizia strumentale e espressività.
Attraverso la direzione di Galli risulta vincente anche il fascinoso senso teatrale del Mascagni dello Zanetto, vero capostipite di un genere, quello floreale, che vedrà il suo apice probabilmente con le mascagnane Isabeau, Parisina e con la Francesca da Rimini di Zandonai, di cui Mascagni anticipa le tinte e l’architettura orchestrale e vocale.
Zanetto, nella sua brevità, è opera complessa. È la storia di due universi che si scontrano, tentano di toccarsi, ma invano, poiché sono universi lontanissimi, divisi dal destino di due vite diverse: da una parte c’è Silvia, la cortigiana, un fiore i cui petali stanno sfiorendo senza aver conosciuto il vero amore (“Ognun col labbro rispettoso sfiora la mia man: ma l’ardore del bacio non salì fino al mio core”); dall’altra c’è Zanetto, un “nomade suonator”, innamorato dell’amore gentile e poetico.

Silvia è l’archetipo della donna fatale e della primadonna floreale, quasi dannunziana: Donata D’Annunzio Lombardi, sarà il cognome, ha una particolare predisposizione per questi ruoli e la sua Silvia conquista vocalmente e scenicamente. La D’Annunzio Lombardi le dona una sensualità delicata, un fascino misterioso, una teatralità raffinata e intensa (con un’abilità nel “catturare” la luce rara), che si riflette anche in un gioco vocale prezioso, tra pianissimi impalpabili e appassionati slanci lirici. Sentirla come Silvia ci ha fatto nascere la speranza di vederla e sentirla presto nei panni mascagnani di Iris e nella Francesca da Rimini di Zandonai.
Asude Karayavuz nel ruolo del titolo mette in luce vocalità luminosa, linea pulita e una freschezza interpretativa tutte da lodare. Parimenti dal punto di vista teatrale, la Karayavuz recita il ruolo con spavalderia, ironia e incanto giovanile.
Alessio Pizzech, non nuovo a questo titolo (già messo in scena al Teatro Goldoni di Livorno nel 2015), immerge Zanetto in un’atmosfera in cui la lunare e onirica sensualità contrasta con la sessualità fisica di Silvia, delusa dalla vita, in lotta con la propria interiorità. La protagonista reduce da una notte di amplessi con un amante occasionale (interpretato da Stefano Mazzoli) vive il sogno di una notte, quello di poter conoscere l’amore puro, abbandonandosi nel finale all’estasi dell’amore perduto, mai conosciuto. Belle le scene significative e simboliche di Michele Olcese ed efficaci i costumi di Silvia Bonetti e il disegno luci di Paolo Mazzon.
Alla fine un caloroso successo, suggellato finalmente da applausi vivi e felici.