Il Teatro Regio di Torino si è unito all’ondata di riaperture delle ultime settimane restituendo al proprio pubblico La Traviata in una produzione già andata in scena al San Carlo di Napoli con la firma di Lorenzo Amato.
A inaugurare la prova generale di venerdì 7 maggio hanno pensato il commissario straordinario Rosanna Purchia e il direttore artistico Sebastian Schwarz, in un clima di leggerezza e sollievo che proietta il teatro più prestigioso del Piemonte verso un futuro di speranza e rigido impegno.

Il sipario si è levato come dicevamo su uno spettacolo già collaudato ma sensibilmente modificato in vista delle cautele dettate dalla crisi pandemica ancora in corso: la regia si è dovuta adeguare a un distanziamento sociale che molto ha tolto a una scenografia tendenzialmente minimale, concentrata su un simbolico effetto cascata che accompagna l’intero svolgimento della rappresentazione. Un espediente che permette tuttavia ai meravigliosi costumi di Franca Squarciapino di diventare i veri protagonisti dello spazio scenico in un gioco di luce e colore tutt’altro che scontato ma fedele alla tradizione, soprattutto nelle scene corali guidate dall’alta qualità del lavoro di Andrea Secchi.
Fortemente apprezzata e convincente è anche la direzione di Rani Calderon, che restituisce un’esecuzione ponderata, con approfondimenti espressivi ragionevoli ma non eccessivi. Costruito è anche il suo dialogo con gli artisti in scena, talvolta messo in crisi dallo sconfinamento dell’orchestra in platea nel rispetto dei dovuti distanziamenti.

Trionfa la Violetta di Gilda Fiume che conquista la standing ovation del pubblico grazie alle doti di una vocalità piena ma dolce, unita a una sapiente ricerca del canto sfumato e a una buona tenuta di scena che la incorona a partire dal finale dell’atto I, per condurla al successo nei successivi due dove sfoga tutta la caratterizzazione drammatica del personaggio. Qualche leggera tensione nelle prime scene dell’atto I era dovuta ancora agli effetti del distanziamento orchestrale. L’Alfredo di Julien Behr viene anch’egli apprezzato nella pulizia vocale che fa di lui un tenore dalla voce posata e “gentile”, in grado di costruire un personaggio sicuramente soddisfacente. Damiano Salerno delinea invece un Germont di profonda espressività e consapevolezza che gli permettono di sfruttare al meglio una voce di ampio volume in grado di trovare sfogo nei duetti e nel confronto con gli altri personaggi in scena. Meritato è l’apprezzamento del pubblico.
A completare un cast di alta qualità sono Ashley Milanese (Annina), Lorrie Garcia (Flora), Joan Folqué (Gastone), Alessio Verna (il Marchese d’Obigny), Rocco Cavalluzzi (il Dottor Grenvil) e Dario Giorgelè (il Barone Douphol).