La coppia eterna, il binomio più famoso del mondo dell’opera lirica, Cavalleria rusticana e Pagliacci, Pietro Mascagni e Ruggero Leoncavallo, i primi due titoli rappresentati in scena nell’estate di rinascita dell’opera all’Arena di Verona. Un ritorno per il dittico verista dopo ben quindici anni, segnato anche dall’inaugurazione dell’impianto scenografico tecnologico ideato da D-Wok. Un muro di ledwall, che prendendo vita trasporta lo spettatore attraverso gli scenari delle vicende. Questa nuova architettura scenica ospita anche la prima partnership del festival, con i Musei Vaticani, la Biblioteca Apostolica Vaticana, il Parco Archeologico e Paesaggistico Valle dei Templi di Agrigento, il Museo Nazionale del Cinema di Torino e il Fellini Museum di Rimini.
Tra i due allestimenti quello certamente più riuscito è Pagliacci, ispirato al mondo del cinema felliniano, di cui compaiono in scena alcuni dei più iconici personaggi: Sylvia de La dolce vita, la Gradisca di Amarcord, Gelsomina de La Strada e tanti altri. Il teatro 5 di Cinecittà, simbolo del cinema italiano, accoglie la compagnia di Canio e Tonio (che nel prologo appare proprio come Fellini stesso) e ne vive la tragedia interagendo con essa. Il surreale e il grottesco felliniano si accoppiano felicemente con la forza del dramma di Leoncavallo, sviscerando il dramma umano dell’artista, la sua illusorietà sulla scena e la sua fragilità nella vita. I pochi elementi scenici, che si trasformano nel finale, nel palcoscenico teatrale della commedia, danno vita ad uno spettacolo lineare ed efficace. Lo spettacolo ideato per Cavalleria non demerita, ma appare più abbandonato alla convenzione e ad una certa monotonia, anche cromatica. Anche i movimenti scenici pur funzionali risultano meno dinamici e significativi.

Marco Armiliato sul podio riusciva miracolosamente a portare a termine un’esecuzione che forse avrebbe necessitato di qualche prova in più, soprattutto per garantire una maggiore coesione con il coro e con tutte le sezioni dell’orchestra, ma anche con il palcoscenico dove qualche scollamento (perdonabile) non è mancato. La situazione sanitaria impone ancora il distanziamento e di conseguenza il coro è posizionato sulle gradinate del lato sinistro del palcoscenico e alcune sezioni orchestrali sono situate al di sopra della buca, non facilitando l’omogeneità e compattezza acustica.
Buono il cast vocale a partire dalla Lola di Clarissa Leonardi, giustamente sfrontata e dalla bella voce, mentre Agostina Smimmero interpretava efficacemente Mamma Lucia.
Amrtuvshin Enkhbat è un Alfio, la cui protervia è celata dietro un’estrema eleganza scenica e interpretativa, grazie ad una vocalità marmorea, di magnifico timbro autenticamente teatrale, capace di suggestionare con la sola tornitura del suono.
Sonia Ganassi è una Santuzza recitata con autentico trasporto, commovente nel dipanare scenicamente il dolore di questa donna così mediterranea, tragica e resiliente, tuttavia vocalmente è apparsa a disagio nel gestire la tessitura medio-grave del ruolo, pur non mancando di mettere in luce intenzioni di fraseggio di grande classe.
Emerge su tutto e tutti il Turiddu di Murat Karahan, trionfatore grazie alla vocalità benedetta in volume e splendore timbrico. La Siciliana lo vede riempire da dietro le quinte la cavea dell’Arena con facilità sorprendente ed esprimendo già alla perfezione la sua concezione di questo personaggio, un uomo con le sue fragilità, il suo egoismo, i suoi amori sbagliati e la sua immaturità. Per questo motivo quando scoppia nell’addio alla madre è straziante e sentirgli sussurrare “un bacio, mamma” è assolutamente commovente. Il tenore turco è parimenti attore coinvolgente e intenso.

In Pagliacci Enkhbat si conferma meraviglioso interprete, incarnando un Tonio drammatico, tenebroso, introversamente represso, mai volgare o sopra le righe. Yusif Eyvazov è un Canio di sicura presa interpretativa, efficace nel gesto e nell’accento, dalla dizione praticamente perfetta (non una sola parola è perduta), attorialmente sempre dinamico e credibile. Il suo protagonista cresce fino a raggiungere la vetta nel finale.

Marina Rebeka, un soprano lirico di splendido timbro, è una luminosissima Nedda, radiosa nella sua ballatella, intonata con tono speranzoso e malinconico allo stesso tempo, riuscendo a sgominare anche il drammatico finale. Accanto a lei Mario Cassi dona robusto lirismo al suo Silvio.
Funzionale il Peppe/Arlecchino di Riccardo Rados, così come Max René Cosotti (un contadino) e Dario Giorgelè (un altro contadino).
Un calorosissimo successo accoglieva entrambi i titoli.