Il Teatro La Fenice torna all’opera lirica e lo fa mettendo al centro la sacralità sociale del teatro. Lo spettacolo al centro della sala e il pubblico nei palchi trasforma tutto in un rito artistico dalla profonda spiritualità. In epoca di carenza di contatti fisici, ci ritroviamo ad abbracciare la musica, ad avvolgerla e a venirne avvolti. Nel caso del Faust di Gounod, veniamo cinti e sedotti da Mefistofele, e se il diavolo è incarnato da quell’animale da palcoscenico chiamato Alex Esposito il rapimento è totale. La sua è un’interpretazione monumentale nel suo essere così raffinatamente sardonico, con una dialettica interpretativa da assoluto fuoriclasse, tutto accompagnato da una vocalità ampia, ricca, con una forza avvolgente straordinaria.

La Marguerite di Carmela Remigio ci tocca le più profonde corde dell’anima, con un’interpretazione che scava sotto l’epidermide di questa creatura e ne restituisce fin le più impercettibili vibrazioni. Abbiamo visto nei suoi occhi e nei suoi gesti, e sentito attraverso gli accenti della sua voce (gestita con tecnica e intelligenza vocale straordinaria) l’innocenza dell’innamoramento, la disillusione, il dolore, la disperazione dell’infanticidio e la follia.
Nel ruolo del titolo il giovane Iván Ayón Rivas sfoga tutte le sue caratteristiche migliori, lo sfolgorio degli acuti, la vividezza sia nel porgere le frasi con impeto, che con virile lirismo. Non gli manca il temperamento e la capacità di costruire anche interpretativamente e teatralmente un personaggio incisivo e coinvolgente.

Accanto a questo terzetto il Valentin di Armando Noguera è dotato di voce timbricamente meno interessante, ma offre linea vocale efficace e qualità interpretative più che buone. Tenero e irresistibile il Siébel di Paola Gardina, vera cantante-attrice, che ad ogni apparizione ruba la scena. Efficaci sia William Corrò (Wagner) che Julie Mellor (Marthe Schwerlein).
Sul podio il Maestro Frédéric Chaslin, che farebbe piacere sentire più spesso nel nostro paese. Infatti la prova del direttore francese è assolutamente travolgente nel far vivere questa musica straordinaria con prepotente senso del teatro e ispirato amore verso il canto. Orchestra e coro (diretto da Claudio Marino Moretti) appaiono in assoluto stato di grazia.
Joan Anton Rechi firmava regia, scene (la scena era poi essenzialmente la superba sala della Fenice), e costumi di uno spettacolo onirico, di mirabile dinamicità e profondità. L’azione cominciava già prima della musica, con l’affluire dei fedeli alla messa, nella platea della fenice, dove si trovavano dei banchi che lungo tutta l’opera costituivano assetto fondamentale dell’azione: dal valzer romanzesco dell’atto II alla scena dell’annuncio della dannazione infernale di Marguerite nell’atto IV. Uno spettacolo che non smetteva mai di fluire prepotentemente e di emozionarci. I bellissimi costumi e il magnifico disegno luci di Fabio Barettin facevano il resto, consegnandoci uno dei migliori spettacoli degli ultimi tempi.
Ci piacerebbe scrivere sempre di serate così, ma queste sono serate miracolose, dove ci si dimentica della tecnica, dell’emissione, dell’acuto o del non acuto, per tornare a concentrarsi sul teatro, sulle sue vibrazioni più autentiche. Al termine un trionfale successo accoglieva tutti i protagonisti.